
Inaugurata quarant’anni fa, è stata utile ma non risolutiva. C’è chi lo aveva previsto
Doveva costare 94 miliardi di lire, ne servirono 238
– 1947: a Parma inizia il dibattito per realizzare un collagamento veloce fra Pianura Padana e Tirreno. Nasce un comitato;
– 1948: il primo progetto di percorso è lungo la Val Parma fino a Bosco di Corniglio, poi con 5 km di galleria fino a Pracchiola e discesa a Pontremoli lungo la sinistra del Magra;
– 1950: viene costituita la società Autocamionale della Cisa. – 1951: convegno nazionale a Salsomaggiore;
– 1958: ANAS e Autocamionale della Cisa firmano la convenzione per la costruzione e l’esercizio della Fornovo-Pontremoli di soli 51 km per contenere al massimo i costi;
– 1961: vengono appaltati i primi due lotti: Fornovo-Ghiare di Berceto con il casello di Borgotaro (19,7 km) e Ghiare di Berceto-imbocco nord galleria di valico (13,7 km);
– 1962: si aprono i cantieri dove lavorano 900 persone;
– 1964: l’aumento dei costi mette a rischio i lavori; la Società non ha i finanziamenti necessari. Al Ministero nasce l’ipotesi di dilatare il tracciato all’Autosole e a Sarzana così da inserirla nel piano quinquennale autostradale nazionale;
– 1965: convegno nazionale a Roma. Viene presentato il progetto per la nuova autostrada da Ponte Taro a S. Stefano Magra;
– 1967: approvazione della legge 963/67 per la realizzazione da parte di Autocamionale della Cisa dell’intero percorso dall’A1 alla A12. Il 24 giugno si decide di progettare un nuovo tracciato abbandonando quello che dal valico sarebbe sceso a Pontremoli sulla sponda sinistra del Magra;
– 1968: firma della nuova convenzione per la costruzione e l’esercizio dei 102 chilometri dell’intera autostrada. Costo presunto: 94 miliardi di lire. A maggio sono appaltati tutti i lotti per i lavori tra Fornovo e la galleria di valico;
– 1969: il 2 agosto è aperto al traffico il primo tratto: Fornovo-Selva del Bocchetto (11,4 km). Nel corso dell’anno sono stati appaltati quasi tutti i lotti nel territorio pontremolese; iniziano gli espropri con polemiche sui prezzi pagati: il Corriere Apuano titola “Autostrada sì, ma anche un po’ di giustizia per i nostri contadini”. Il 4 dicembre, festa di S. Barbara, si festeggia l’inizio della perforazione della galleria di valico. In realtà i lavori sono iniziati già da alcuni giorni;
– 1970: a Pontremoli si protesta contro lo spostamento del casello che era previsto in loc. Favale, non lontano da Scorano: “sciopero generale” di tutte le attività, mobilitazione generale e lunghe trattative, ma verrà realizzato a Saliceto;
– 1971: inaugurate le tratte dall’Autosole a Fornovo e da Fornovo a Ghiare di Berceto: sono ora 30,8 i chilometri percorribili;
– 1972: il 14 maggio viene aperto al traffico il tratto Pontremoli-S. Stefano e il 24 giugno quello fra il Tugo e Montelungo con la galleria di valico. Tra le opere ancora da ultimare ci sono i due viadotti più grandi: quello a vie sovrapposte di Roccaprebalza e quello sul Verde che sarà l’ultima opera ad essere ultimata per un grave incidente mentre viene “varato” un trave tra due pile a 150 metri d’altezza;
– 1974: il 27 luglio, con la fine dei lavori su una delle due corsie del viadotto di Roccaprebalza, quasi tutta l’autostrada è percorribile; manca solo il tratto fra Montelungo e Pontremoli;
– 1975: sabato 24 maggio, vegono aperti anche gli ultimi 14,4 km mancanti. Tutta l’Autocisa è finalmente percorribile: è costata 238 miliardi di lire, circa 2,5 volte quanto era stato previsto. Alto il prezzo in vite umane pagato: sono 12 gli operai morti nei sei anni di lavori per la realizzazione dell’opera.

Sabato 24 maggio 1975: l’Autostrada della Cisa è conclusa e percorribile. Poco più di cento chilometri tra l’autostrada del Sole e la A12 a S. Stefano Magra; Parma ha il suo sbocco al mare, diretto e veloce; il porto della Spezia potrà finalmene conoscere quello sviluppo commerciale fino ad allora negato.
Erano serviti trent’anni di dibattiti, progetti e – dall’inizio dei lavori – 2,5 milioni di giornate lavorative per un’opera destinata ad accorciare in modo formidabile i tempi di percorrenza tra la Pianura Padana centrale e il Tirreno, in una stagione nella quale in tutta Italia si aprivano i cantieri delle nuove autostrade. Solo in quei primi anni Settanta si completavano l’Autostrada dei Fiori, la Salerno-Reggio Calabria, l’Adriatica, la Tirrenica; il tutto proprio mentre nel nostro Paese la crisi petrolifera e l’austerity decretavano la fine del boom economico e a Pontremoli si andava verso la chiusura della Cementi.
Tre decenni, dalla formazione del comitato promotore a Parma alla fine dei lavori; anni nel corso dei quali non passava settimana senza che qualcuno invocasse la nuova autostrada come toccasana per il territorio. Uno sviluppo talmente sicuro che un po’ tutti vigilavano su ogni cambiamento che ne potesse mettere a rischio il successo. Il caso più clamoroso fu quello del casello di Pontremoli, previsto prima a Favale e poi realizzato a Saliceto: una modifica che aveva visto – forse per la prima e unica volta nella sua storia – lo sciopero e la mobilitazione generale di tutta la comunità pontremolese.
Oggi, dopo altri quattro decenni, possiamo affermare che quello sviluppo non è arrivato e che è stato un miraggio venduto più volte alla popolazione locale e al quale tutti avevano guardato come fosse realtà. Nessuno può negare la grande utilità di un’infrastruttura che ha più che dimezzato i tempi di percorrenza tra i due versanti dell’Appennino, che ha portato vantaggi ai due capoluoghi e alle loro infrastrutture. Ma ciascuno di noi può toccare con mano quanto fosse priva di fondamento quella promessa elargita a piene mani negli anni Cinquanta e Sessanta.
Mentre si progettava l’autostrada, Pontremoli e la Lunigiana venivano dichiarate aree depresse; poi lo sviluppo non è arrivato, nonostante la presenza della A15. Il dato più eclatante è il calo demografico di Pontremoli: nel 1951 la popolazione residente poteva contare su 14.788 persone; oggi è dimezzata e l’età media sfiora i 50 anni, con un invecchiamento allarmante.
Ma se oggi è fin troppo facile stilare il bilancio tra i benefici mancati e i prezzi pagati, si deve riconoscere che mezzo secolo fa molti avvertimenti erano stati lanciati. Ma nessuno se ne era preoccupato.
Qualcuno aveva cercato di riportare sui giusti binari i troppo facili e ottimistici proclami; fra questi Franco Feroldi, economista e docente universitario a Parma, che si era espresso in modo chiaro nel convegno nazionale sull’Autostrada della Cisa svoltosi a Roma il 20 maggio 1965. “[…] nell’epoca che stiamo attraversando, è tutto un pullulare nel nostro Paese di progetti di nuove autostrade; cosicché […] la loro giustificazione in sede economica può risultare ridotta anche sensibilmente. Se è comprensibile che aree che appaiono destinate ad una condizione di depressione economica trovino nelle autorità e negli operatori economici locali assertori convinti della bontà delle soluzioni da loro stessi prospettate, per un doveroso senso di obiettività non si può sostenere una specie di rigido collegamento del tipo causa/effetto tra costruzione di autostrade e più sostenuto ritmo di sviluppo dell’economia delle zone attraversate dalla autostrada. E ciò perché se il punto di origine e di arrivo di quest’ultima non presentano quell’assieme di condizioni favorevoli per poter assumere le caratteristiche di un “polo di sviluppo” se non di primaria importanza, almeno di importanza non troppo secondaria, l’autostrada […] può limitarsi a fungere da causale che facilita lo scorrimento del traffico verso poli di sviluppo esterni all’area che si intende valorizzare […] Per tale riguardo la camionale va considerata come arteria per il traffico commerciale di lungo percorso, vale a dire come infrastruttura interessante l’economia di un’area che supera l’ambito provinciale nonché regionale”.
Qualche dubbio che l’Autocisa potesse essere sinonimo di sviluppo era del resto stato sollevato anche dal Corriere Apuano stesso che, il 9 febbraio 1957, titolava “Pontremoli ha pur buon diritto di avere qualche utile dalla importante arteria”, anche se il tutto girava attorno a richieste locali di modifica del tracciato e sulla collocazione del casello che doveva essere a monte della città, ritenuta unica collocazione per non essere tagliati fuori dai flussi. Così per quel casello c’erano le ipotesi più diverse; un altro titolo, il 20 aprile 1957, rassicurava: “Giunta in porto la questione dell’autostrada. La stazione terminale sarà a nord di Pontremoli” e si dava conto di un vertice al ministero nel quale si era stabilito “che la stazione terminale dell’importante arteria sarà costruita fra l’antica chiesa di San Giorgio e il bivio fra la strada nazionale della Cisa e l’interprovinciale del Brattello”. Qualche settimana dopo la notizia dell’annnuncio che il passaggio a livello di Porta Parma sarebbe stato demolito in funzione della nuovo viabilità da e per il casello autostradale nel piano di Mignegno. “Tale progetto… prevede il rialzamento del piano stradale a nord del passaggio a livello fino a giungere all’altezza della sommità della galleria ferroviaria; di qui la strada scenderà con leggera pendenza fino alle rovine della ex villa Lorenzelli pre innestarsi ancora con la nazionale. È pure allo studio il progetto di allargamento della nazionale all’altezza del sobborgo dell’Annunziata onde rettificare le curve che la rendono attualmente pericolosa”.
Come noto il passaggio a livello sarebbe stato eliminato mezzo secolo dopo, mentre all’Annunziata tutto è rimasto com’era allora. Ad ogni campagna elettorale, fosse nazionale o locale, non si mancava di sottolineare come la “monumentale opera” Fornovo-Pontremoli “aprirà ampie prospettive economiche e commerciali alla capitale della Lunigiana” come amava autodefinirsi Pontremoli. Se decine e decine di attività locali hanno chiuso da decenni (da quelle più grandi e strategiche come la Cementi a quelle più piccole come i tanti esercizi commerciali e laboratori artigianali) e se la popolazione locale si è dimezzata è d’obbligo riflettere su come l’A15 sia stata più un mezzo utile per partire ed emigrare che non per restare.
Paolo Bissoli