
Domenica 11 maggio – Quarta di Pasqua
(At 13,14.43-52; Ap 7,9.14-17; Gv 10,27-30)
Nella quarta domenica di Pasqua, mentre guardiamo a Gesù Buon Pastore, consideriamo il compito di guidare il gregge che egli ha affidato ai suoi eletti. Un ministero così importante richiede un aiuto particolare da parte di Dio e la preghiera unita al sostegno da parte di tutti i fedeli.
Si racconta che alcuni santi rifiutarono di essere preti perché non se ne sentivano degni, ma se tutti facessero così, la successione apostolica sarebbe già finita da tempo.
1. L’Agnello sarà il loro pastore. Cantiamo nella sequenza pasquale: “L’Agnello ha redento il suo gregge”. Per questo motivo è diventato il Pastore, perché con il suo sangue ha riscattato una moltitudine di fratelli e ha fatto di loro un popolo sacerdotale, regale e profetico: “Tu hai riscattato con il tuo sangue uomini di ogni tribù e lingua, e hai fatto di loro un regno e sacerdoti” (Ap 5,9-10).
2. Conosco le mie pecore. Il ministero di condurre il suo gregge Gesù lo ha affidato agli apostoli e ai loro successori, ma l’unico pastore rimane solo lui; pertanto le persone che continuano il suo ministero sono designate con parole di uso profano che indicano un servizio: vescovi, preti, diaconi, ecc.
Per secoli il servizio ministeriale nelle città fu garantito dal vescovo; nelle campagne c’era un suo delegato nella pieve, dove si facevano le celebrazioni più solenni e c’era il battistero. La vita religiosa era sostenuta anche dalla presenza dei monaci che garantivano il servizio religioso, la vita culturale, economica e sociale.
Pian piano i singoli paesi divennero parrocchie con un proprio parroco, fecero corpo a sé, ciascuno si riconosceva nel suo campanile e nel suo prete. Le piccole divergenze venivano riassorbite dall’interno: gli episodi di don Camillo e Peppone non sono solo figure letterarie, sono la realtà che qualcuno ha vissuto.
Così pure le vicende di Don Abbondio con Renzo e Lucia non hanno compromesso il rispetto e l’appartenenza: “Quelle buone creature avevan sempre conservato un certo attaccamento rispettoso per il loro curato; e questo, in fondo, aveva sempre voluto bene a loro” (Pr.Sp. 38).
3. Non andranno perdute. Al presente il calo demografico e l’emigrazione della popolazione dalla campagna alla città mette in crisi la struttura di un passato secolare, e per il momento non sembra possibile il ritorno alle parrocchie come realtà autonome.
Per la vita della parrocchia non si richiede solo la presenza del parroco: per formare una parrocchia si richiede un minimo di persone che garantiscano almeno una degna celebrazione eucaristica.
Cosa fare perché “le pecore non vadano perdute”? Mentre gli intellettuali disquisiscono sulle cause, chi ha buona volontà cerca il modo di non far mancare alle pecore la minima assistenza spirituale. Sarà necessario unire le forze, chiedere e offrire collaborazione, uscire dal “particulare”. La vita religiosa sarà meno “gregaria” e più responsabile
† Alberto