Il padre di due figli

Domenica 30 marzo – IV di Quaresima
(Gios 5,9-12; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32)

Nella parabola del figlio ritrovato, come nelle altre due collegate, quella della pecora perduta e quella della moneta smarrita, il protagonista è colui che cerca. Noi conosciamo il Padre nella proclamazione della sua misericordia: la buona notizia della predicazione evangelica è che Dio è Padre e non ci identifica con i nostri peccati, ma ci ama così come siamo e ci prende come figli.
1. Padre, ho peccato! Nell’incontro filiale con il Padre sperimentiamo il perdono dei peccati che ci viene dato dalla grazia del Padre, non dal nostro rimorso. Il pentimento non è irrigidirsi nel dolore o frugare nel passato; non è un complesso di inferiorità o uno stato di desolazione, ma è un rinnovamento compiuto da un atto di fede e di amore.
Può accadere che il pentimento cominci con il guardarsi dentro, ma non può finire con se stessi, perché ci si può prendere come punto di partenza, non come punto di arrivo; il punto di arrivo è l’incontro con il Signore: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre”. Pertanto anche negli atti penitenziali dobbiamo sempre riconoscere (confessare) la grandezza della misericordia divina, più grande della nostra miseria umana.
2. Questo mio figlio è tornato in vita. Non solo oggi, anche una volta i figli se ne andavano di casa, e il padre in questione, come l’altro padre raccontato nel vangelo secondo Matteo che manda i figli a lavorare nella vigna (Mt 21,28-32), sono due falliti nell’educazione, ma non dicono nulla.
Hanno un solo pregio: aspettano con pazienza, senza fare prediche inutili e noiose. I figli sono “frutto” ma non “misura” dell’amore che li ha portati al mondo, e l’amore del padre non è da restituire e il figlio non ha bisogno di guadagnarselo o di restituirlo, ma il dono ricevuto impegna la vita del figlio, il cui coinvolgimento cresce con l’età e con gli sbandamenti subiti, fino a quando il figlio arriva a riconoscere la grandezza della paternità.
3. Tuo fratello era perduto ed è stato ritrovato. La misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio di comportamento per i suoi veri figli che vivono come fratelli. A noi per primi è stata usata misericordia, e quindi siamo chiamati a vivere di misericordia: “Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere” (Misericordiæ Vultus, n. 9).
A proposito di perdono, nel capitolo 18 del vangelo di Matteo Pietro pone a Gesù un quesito giusto: “Se il mio fratello commette una colpa contro di me, quante volte dovrò perdonargli?” (Mt 18,21). Se si perdona sempre, non si agevola il peccato? Non sarà meglio mettere limiti al perdono? Gesù risponde che il problema deve essere posto diversamente: il comportamento del discepolo deve conformarsi all’agire di Dio, che è padre e assiste il suo popolo, lo accompagna e lo perdona sempre.

† Alberto