Finisce il Carnevale, inizia la Quaresima

Anche nel mondo rurale lunigianese entro la mezzanotte del Martedì grasso dovevano concludersi le feste per iniziare il percorso verso la Pasqua

(Foto Vatican Media/SIR)

Il Carnevale è sempre un periodo di gaia baldoria e di spensieratezza, ma in un passato remoto, diventava davvero il momento “clou” per trasferire anche nell’abbigliamento bizzarro la voglia di “infrangere” una vita minuziosamente codificata. Si aprivano polverosi bauli da cui uscivano sottane, scialli, pizzi, merletti… profumati di foglie di alloro secche o bacche di ginepro.
Il “martedì grasso” paesi e borgate risuonavano di canti e di musica che riunivano bambini, adulti e vecchi nelle piazzette dove non mancavano le allegre note della fisarmonica. Le donne passavano con vassoi pieni di prelibatezze, preparate per tempo, dove spiccavano salumi nostrali innaffiati di vino conservato appositamente nelle buie cantine. I balli si prolungavano fino a tarda sera quando si bruciava il “Carnevale”, ossia un fantoccio confezionato con panni laceri e paglia.
Ma tutto doveva finire entro la mezzanotte. Un rigore che si tramandava, e si rispettava, per iniziare la Quaresima. Il “mercoledì delle Ceneri” apriva, infatti, la porta (per i cristiani dovrebbe essere così) alla preghiera più assidua, al digiuno del venerdì di ogni settimana, alla carità fraterna. I tre grandi ambiti della preparazione alla Pasqua.

Celebrazione del mercoledì delle Ceneri (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Nel giorno delle Ceneri anche, negli agglomerati più sperduti della Lunigiana, le campane raggruppavano gli abitanti, allora numerosi, nella chiesa dove il sacerdote predisponeva le Sacre Ceneri (ottenute dai rami di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente) sinonimo della fragile condizione dell’uomo di fronte al Signore (Gen. 18,27) e di umiltà. Le chiese erano gremite.
Gli uomini, per gran parte impegnati nei lavori di campagna che lentamente salutava i lunghi mesi invernali per accogliere i primi segni primaverili, si incamminavano, con il cappello in mano, per assistere alle sacre funzioni, seguiti da chiassosi bambini con mazzolini di violette e primule.
Assicurato il “mangiare magro” nei testi si cuocevano testaroli, barbotte e torte d’erbi. Oppure, in padelle annerite le massaie friggevano i sedani raccolti nell’orto. Durante l’intero periodo quaresimale ogni venerdì, a partire dal primo pomeriggio fino all’ora di cena, c’era “l’ora” di Adorazione, sull’altare veniva esposto il Santissimo Sacramento. Le persone si adunavano un gruppetti ad orari diversi, garantendo la presenza davanti al Santissimo: per l’intera giornata.
Fra incenso e candele saliva in Alto il canto liturgico “Tantum Ergo Sacramentum”. Mai mancava una corona logora, nelle tasche dei neri, ampi grembiuli delle nonne, per la recita serale del Santo Rosario a cui rispondevano a modo loro, pure i bambini, con gli occhi assonati. Educati, con l’esempio della vita cristiana.
Gesti semplici, lungi dal conoscere teologia e latino. Eppure la vita, pur fra mille difficoltà e non senza sbagli, aveva i suoi punti cardinali valoriali, mentre fede e tradizioni si amalgamavano dando buoni frutti che si concretizzavano nelle azioni di ogni giorno dove non mancava la mano tesa del vicino, in caso di necessità.
Un ritornare al cuore senza ostentazioni ed orpelli. Un viaggio dall’esterno all’interno, tanto più importante oggi. Sovente ci agitiamo per essere notati, ammirati, plauditi… senza avere un luogo segreto in cui fermarci per guardare dentro di noi prendendo coscienza di chi siamo davvero: creature volute ed amate da Dio. Ed allora recuperare valori e tradizioni dei “nostri vecchi” non può farci che bene.

Ivana Fornesi