Il Piano per la competitività consegnato da Mario Draghi alla Commissione UE propone un orizzonte di lungo periodo per l’Europa fatto di innovazione e transizione ecologica. Ma anche di più armamenti, scelte da Guerra fredda e un piano finanziario che metterebbe a repentaglio la tenuta dello stato sociale
Draghi consegna il Rapporto competitività alla presidente Von der Leyen (Foto Commissione Ue)
Il Piano per la competitività commissionato a Mario Draghi dalla Commissione Europea e presentato dall’ex presidente della BCE la scorsa settimana a Bruxelles ha ricevuto da parte della politica continentale reazioni tiepide o in alcuni casi apertamente critiche.
Un possibile veloce accantonamento del Piano, tuttavia, non nasconde il merito di avere proposto un orizzonte per l’Europa che va oltre il ciclo elettorale dei singoli Stati e di prospettare politiche audaci e di lungo periodo per il sistema economico del Vecchio Continente.
Ma parallelamente sono molti gli aspetti critici di un rapporto che meriterebbe un grande dibattito sulla ragion d’essere dell’Unione Europea e non il tifo da stadio di tutti i principali mezzi di informazione italiani e dei loro opinion-makers ogni qualvolta si pronunci il nome dell’ex capo del governo italiano.
Ecco la nuova Commissione EU. Fitto tra i sei vicepresidenti
La sede della Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles
Martedì, 17 settembre, la presidente Ursula Von der Leyen ha presentato la lista della nuova Commissione dell’Unione Europea. Saranno sei le vicepresidenze (4 le donne, 2 gli uomini) della Commissione, tutte esecutive; una di queste spetta anche all’Italia: Raffaele Fitto, come da tempo annunciato, ricoprirà l’incarico gestendo la delega alla coesione e alle riforme.
Gli altri vice: l’estone Kaja Kallas (alto rappresentante Ue), la spagnola Teresa Ribera (transizione giusta, pulita e competitiva), il francese Stéphane Séjourné (politica industriale), la finlandese Henna Virkkunen (digitalizzazione) e la romena Roxana Minzatu (talenti e competenze).
Tra i commissari non vicepresidenti il lettone Valdis Dombrovskis (economia), l’olandese Wopke Hoekstra (clima), l’austriaco Magnus Brunner (affari interni e migrazione) e il polacco Piotr Serafin (responsabile del Bilancio Ue).
La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen (foto Commissione UE)
L’analisi di Draghi, un lavoro di 65 pagine intitolato “Il futuro della competitività europea”, parte da un esame del quadro in cui si trova l’Europa e delle sfide che ha davanti. Il punto di partenza è il rallentamento della crescita economica.
Due le cause individuate. Una interna: la mancata crescita della produttività (cioè meno investimenti e meno innovazione che negli USA o in Cina); l’altra esterna: la liberalizzazione dei commerci sta venendo meno, i costi dell’energia sono aumentati, la stabilità geopolitica garantita dagli Stati Uniti vacilla.
Si tratta però di un’analisi parziale: nessun accenno alle conseguenze di oltre vent’anni di austerità; silenzio sui costi dell’energia saliti alle stelle non direttamente per l’invasione russa dell’Ucraina ma per la grande speculazione finanziaria globale che ha seguito l’inizio della guerra; nulla sulla passività con la quale l’Unione Europea assiste al “deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina e della crescente instabilità in Africa”.
Draghi sostiene abbastanza esplicitamente che sul piano geopolitico quel che è bene per gli USA è bene per l’Europa. Il quadro nel quale il rapporto si contestualizza è quello di una subalternità politica della UE e un’adesione convinta ai principi del neoliberismo.
È il ritratto di un mondo economicamente ancora controllato dalle istituzioni di Washington: Casa Bianca, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, in una riproposizione della Guerra Fredda giustificata dal fatto che le “dipendenze esterne stanno diventando vulnerabilità”. Fermare il declino competitivo dell’Europa per Draghi significa tre cose: accelerare l’innovazione nelle tecnologie avanzate; continuare il processo di decarbonizzazione, facendo della lotta al cambiamento climatico un fattore di crescita; adattarsi a equilibri geopolitici meno stabili incrementando gli investimenti in difesa.
Per tutto ciò, secondo Draghi, serve una strategia comune, condivisa da tutti gli Stati membri, costituita dal completamento del Mercato Unico, nuove politiche industriali e soprattutto tante risorse economiche, necessarie per la transizione ecologica.
È un piano lungimirante, in cui si parla finalmente non più di consumi ma di investimenti come motore dello sviluppo. Ma vi sono dei limiti.
Draghi non parla di una unione politica della UE, ma solo di un maggiore coordinamento: un pò poco, in un’Unione in cui gli Stati si fanno concorrenza fiscale, con tre veri e propri paradisi delle tasse come Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo.
C’è poi il nodo critico delle risorse: dove trovare 750-800 miliardi di euro nei prossimi decenni, tra capitali privati e pubblici? La soluzione proposta da Draghi è quella di creare un mercato unico dei capitali in Europa dove far confluire il risparmio dei cittadini dei vari Stati; è a quel risparmio che dovrebbero essere collocati i titoli di un debito comune europeo e i titoli azionari e obbligazionari delle imprese europee. Si tratterebbe di una gigantesca finanziarizzazione dell’economia che necessiterebbe di colossi bancari e assicurativi europei in grado di contrastare l’attuale strapotere dei fondi americani, che però sono già azionisti di peso dei principali istituti bancari continentali e che quindi guiderebbero le scelte, come sta già avvenendo nella recente operazione Unicredit-Commerzbank.
Ma c’è di più; il debito comune europeo farebbe concorrenza ai debiti dei singoli Stati, obbligati a pagare interessi più alti proprio per la presenza del più “solido” debito UE. Quindi, suggerisce Draghi, l’emissione di debito pubblico europeo dovrà andare di pari passo con il ridursi di quello dei singoli Stati, perpetuando l’austerità che la BCE sta già applicando mantenendo alti i tassi di interesse – Christine Lagarde è tra i pochi ad avere applaudito convintamente al Rapporto Draghi – e che porterà ulteriori severi sacrifici.
In questo contesto, sottolineare, come fa Draghi nel suo Rapporto, l’importanza di “uno Stato sociale europeo per fornire servizi pubblici solidi, protezione sociale, alloggi, trasporti e assistenza all’infanzia durante questa transizione”, appare una mera concessione alla retorica.