
Nel Rapporto sugli Italiani nel Mondo anche un saggio sulle nostre migrazioni

Anche quest’anno il Rapporto Italiani nel Mondo, predisposto dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale dei vescovi italiani, è un prezioso strumento di conoscenza e riflessione sui fenomeni legati alle migrazioni. Quelle storiche che hanno coinvolto l’Italia dalla seconda metà dell’Ottocento e quelle attuali, che vedono migliaia di nostri connazionali tornare a scegliere una vita all’estero e altri che, discendenti dei nostri emigranti, aspirano ad acquisire la cittadinanza italiana. Fra le aree a maggior incidenza migratoria c’è anche la Lunigiana, seconda in Toscana solo alla Garfagnana e ai primi posti a livello nazionale. Una diaspora, quella dei Lunigianesi, che sembra essersi riaccesa negli ultimi anni: sono soprattutto giovani, così come giovani sono spesso quanti che da lontano chiedono di diventare cittadini italiani come erano i loro antenati. E sono molti anche coloro che, dopo una lunga esperienza lontano dall’Italia, scelgono di tornare.

Fenomeno sociale che il Rapporto illustra grazie al saggio della prof.ssa Caterina Rapetti, dal titolo “La Lunigiana nel cuore. Rimpatri e ritorni in una vallata toscana”, un saggio che ci aiuta a guardare con occhio diverso i flussi di migranti che sbarcano sulle coste dell’Italia o si affacciano sul nostro confine orientale. “Oggi – scrive la studiosa di storia dell’emigrazione toscana – troviamo discendenti lunigianesi nei vari continenti, dall’Europa all’America latina, dall’America del Nord all’Australia. Conseguenza di partenze avvenute in tempi diversi, ad opera per lo più di giovani che emigravano in piccoli gruppi, in una condivisione che rendeva in certo qual modo più facile affrontare l’ignoto”. Tutti con il desiderio di tornare: quasi nessuno, infatti, pensava che la partenza fosse per sempre, non volevano un distacco definitivo. In realtà molti non sono tornati e i rapporti, con il passare degli anni e delle generazioni, si sono spesso affievoliti fino ad esaurirsi. Eppure qualche cosa deve essere rimasto visto che, nell’ultimo quarto di secolo, gli uffici comunali anche del nostro territorio sono stati coinvolti da una richiesta crescente di documenti utili ad acquisire la cittadinanza italiana. Nel saggio di Caterina Rapetti compaiono numerosi esempi di discendenti tornati in Lunigiana. C’è Carolina Di Bueno Fenocchi: una giovane arrivata a Pontremoli sul finire degli anni Ottanta per riscoprire le origini grondolesi degli antenati. Dopo una laurea in archeologia e alcuni anni di pendolarismo fra l’Uruguay e l’Italia adesso lavora come apprezzata guida turistica a Roma.

Più recente il “ritorno” di Alicia Cano Menoni, pronipote di quel Camillo Menoni che aveva lasciato Bosco di Rossano sul finire dell’Ottocento per l’Uruguay dove aveva raggiunto buone condizioni economiche che gli consentirono alcuni ritorni al Bosco. Dopo molti decenni Alicia è stata la prima a tornare, affascinata dalle suggestioni di nonno Orlando; la giovane, diventata regista, ha realizzato un racconto per immagini divenuto un successo internazionale, segno che in quel paese nascosto nell’Appennino, nella vita, nelle partenze e nei ritorni di quella gente si sono riconosciuti in tanti in tutto il mondo. Invece a Torrano, pochi chilometri da Pontremoli, vive Olivo Fantoni: anche lui è tornato dall’Uruguay dove era emigrato a dieci anni; nel Sudamerica delle inquietudini sociali e delle dittature Olivo si schiera con il Movimiento de Liberation National – Tupamaros e finisce in carcere, destino toccato a tanti compreso il futuro presidente Pepe Mujica. L’uscita dalla prigione significa l’esilio forzato in Italia dove l’avrebbero poi raggiunto anche la moglie il figlio. Tante le storie di emigrazione del recente passato che ci fanno riflettere sulle migrazioni del tempo presente: quelle verso le Americhe come quelle in altri paese europei: Gran Bretagna, Francia e Svizzera soprattutto, migrazioni che, per la vicinanza geografica, hanno permesso rientri più frequenti.

Nel suo saggio la prof.ssa Rapetti cita numerosi casi: i fratelli Angelo e Brenno Venturini di Bratto, il grondolese Valentino Musetti, il braiese Armando Pini o Aldino Albertelli di Versola. Ma anche giovani come Iolanda ed Antony Enrione. E come dimenticare quell’Annibale Giannarelli nato a Sassalbo, cresciuto nel sud dell’Australia e, tornato al paese, divenuto famoso grazie al successo in una trasmissione televisiva per aver legato il proprio nome alla colonna sonora de “Lo chiamavano Trinità”? Esempio di un mondo composito, che può sembrare lontano nel tempo, eppure così drammaticamente attuale. Un mondo ben rappresentato a Pontremoli, una “cittadina” (come la definiva Luigi Campolonghi) che nel 1881 contava 14.368 abitanti di cui ben 1.225 erano registrati già come emigrati; quella cittadina che alla fine del 2022 contava appena 6.887 residenti a cui si devono aggiungere i 2.979 pontremolesi residenti all’estero, cioè il 43,2%. Come dire che su dieci persone che possono dirsi “di Pontremoli” più di quattro vivono all’estero: un numero davvero impressionante! E ancora più sorprendenti sono i dati del vicino comune di Zeri: 940 residenti sul territorio, 889 residenti all’estero, addirittura con un’incidenza del 94,6%.
Paolo Bissoli