

Si è svolto a Roma, la scorsa settimana, il Convegno “Utente e Password. Connessioni e profezia”, organizzato dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI. Indirizzata prima di tutto ai responsabili diocesani, l’iniziativa ha coinvolto anche il mondo dei settimanali cattolici (FISC). Se, quindi, l’intento iniziale era quello di “offrire un contributo concreto ai cantieri sinodali che stanno animando il percorso delle Chiese in Italia, in particolare quello della strada e del villaggio”, la presenza dei giornalisti impegnati nelle redazioni ha indotto a porre l’attenzione anche su tutto ciò che riguarda la grande rivoluzione che sta ridisegnando questo ambito della comunicazione.
Anche se, almeno in partenza, le necessità della Chiesa e quelle più specifiche attinenti ai settimanali, riguardo alla rivoluzione mediatica in atto, sono diverse, alla fine, uguale è la soluzione che si sta cercando: capire come funziona, oggi, il pianeta comunicazione e capire come si possa arrivare a mettersi in contatto con i diversi modi di approccio all’informazione, in gran parte legati alle diverse età degli utenti. In tal senso, l’invito più volte ribadito ad “uscire dalla logica del ‘si è sempre fatto così’, immaginare con creatività, diventare capaci di incontrare e dialogare”, semplice nella sua formulazione, non è così facile da tradurre in pratica.
Questo per il percorso sinodale, che già avrebbe nelle sue linee programmatiche la volontà di “intercettare chi è al di là di noi e del nostro mondo”; un modo diverso per definire l’ormai abusata espressione della “Chiesa in uscita”. Più facile a dirsi che a farsi, stante la difficoltà di convocazione delle sempre meno frequentate comunità parrocchiali o associative.
Ancor più difficile per quelli che, tutt’oggi, nel mondo dell’informazione sono riconosciuti come “carta stampata”. È vero, ci sono i siti on line dove si può trovare l’edizione digitale del settimanale, ma non di questo si parla quando si insiste sulla necessità di usare nuovi linguaggi, più sintonizzati con l’attuale modo che, soprattutto dai giovani, viene usato nella ricerca delle notizie. Un percorso non facile.
Si parla di “social media”, ci sono studi molto precisi sui linguaggi legati a questi e altri strumenti, ed è assurdo pensare di chiudere gli occhi su questa realtà; ma, come ha detto mons, Pompili, “la Chiesa deve realizzare quello che la comunicazione esprime, cioè deve generare comunione”, altrimenti “finisce per essere confusa come una delle tante agenzie presenti e vocianti nell’agorà pubblica”. Le statistiche vanno tutte nel senso di precise e distinte modalità di approccio all’informazione, principalmente legate alle fasce di età dei fruitori.
Riuscire a differenziare le forme di comunicazione in base a queste evidenze è il compito che ci vedrà impegnati nel prossimo futuro.
Antonio Ricci