A Locri scritte minacciose contro don Ciotti

Lotta alle mafie. La voglia di legalità scuote le coscienze

Ciotti_don_LuigiPer due giorni Locri è stata, a dispetto della ’ngrangheta, la capitale della legalità. Ha smesso il suo triste vestito di terra devastata dalla malavita organizzata ed ha gridato la sua voglia di legalità, che poi è voglia di vita dignitosa.
Si trattava di celebrare la “XXII Giornata della memoria e dell’impegno” promossa il 21 marzo di ogni anno da Libera e Avviso Pubblico per ricordare tutte le vittime e rinnovare l’impegno per il contrasto alle mafie. I momenti culminanti sono stati due: l’incontro del Presidente della Repubblica con i familiari delle vittime di mafia (Mattarella stesso fa parte di quella categoria) e il corteo per le vie cittadine di oltre 25.000 persone.
I nomi delle vittime letti nelle due occasioni sono stati 950; tra di essi anche molti bambini. Pesanti le parole di Mattarella: “I mafiosi non conoscono pietà né umanità. Non hanno nessun senso dell’onore né del coraggio… colpiscono… persone inermi e disarmate… Nessuno può dire: non mi interessa”.
Politici e forze dell’ordine devono “essere fedeli ai propri doveri, impermeabili alle infiltrazioni mafiose”. Essendo Locri al centro di un territorio in cui troppo a lungo la malavita organizzata ha spadroneggiato, la ‘ndrangheta non poteva ignorare la provocazione; per questo ha tentato di colpire, con scritte sui muri del vescovado, di una scuola, del municipio, l’anima italiana della lotta civile alla criminalità organizzata, don Ciotti, definendolo “sbirro” e “più sbirro il sindaco”.
La colpa di don Ciotti, del vescovo, mons. Francesco Oliva e del sindaco, Giovanni Calabrese, è di cercare di sensibilizzare la cittadinanza perché si spezzi l’omertà e si dia vita a un clima di legalità. La risposta della città, ma anche di tutta la Calabria, non si è fatta attendere.
Il vescovo ha richiamato la scomunica di papa Francesco e, sapendo che la criminalità organizzata si vanta di dare lavoro, ha aggiunto che “nessuno deve ricorrere al caporale o al boss di turno per vedere soddisfatto quello che è un diritto”.
Don Ciotti ha riconosciuto che il lavoro è necessario, “ma che sia un lavoro onesto, tutelato dai diritti, non quello procurato dalle organizzazioni criminali”. Sono i mafiosi che rubano i posti di lavoro. Precise le richieste alla politca: approvare il codice antimafia, sostenere e rafforzare l’Agenzia dei beni confiscati, nessun arretramento nella legge sugli appalti, sulle intercettazioni, sulla prescrizione. Una vera e propria denuncia dei ritardi e delle promesse mancate.