Il cattolicesimo politico in Italia: le ragioni di un ruolo insignificante

L’impegno dei cattolici in politica dopo le elezioni del 25 settembre

L’intervento del Presidente Mattarella all’apertura della Settimana Sociale dei Cattolici italiani a Taranto nell’ottobre 2021 (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Insignificanza. È con questo sostantivo che diversi osservatori hanno da tempo bollato la presenza dei cattolici italiani sulla scena politica nazionale. Una condizione già nota, ma emersa in tutta la sua evidenza nel corso della recente campagna elettorale. Se già dal 2013 in Parlamento non è più presente alcun gruppo politico che faccia esplicitamente riferimento ai valori del magistero sociale della Chiesa, le elezioni del 2018 e del 2022 hanno sancito la sostanziale scomparsa della rappresentanza del cattolicesimo politico dal panorama politico italiano.
Non che in Parlamento non siano presenti battezzati/battezzate o credenti praticanti, alcuni di essi con un profilo riconducibile a qualche movimento ecclesiale. Ma la presenza di eletti ed elette che si sono proposti all’elettorato come rappresentanti espliciti del cattolicesimo politico è del tutto residuale e numericamente insufficiente a incidere sul dibattito: insignificanti, appunto. Certo, da un punto di vista religioso quella italiana è in tutta evidenza una “società genericamente cristiana, ma di fatto indifferente”, come ha recentemente scritto Gianfranco Brunelli, il direttore della rivista Il Regno.
Dall’altro lato, però, il potenziale di rappresentanza politica del cattolicesimo italiano, misurato dal numero di italiani – credenti (più o meno praticanti) e non credenti – che ha nella Chiesa cattolica e nella sua visione di società un punto di riferimento, è tutt’altro che trascurabile. E la capacità della Chiesa di essere all’ascolto (e spesso in aiuto) della società italiana, del vissuto quotidiano e degli umori delle persone in tutto il territorio nazionale non ha pari nel panorama dei corpi intermedi presenti nel Paese. La distanza, maturata negli ultimi lustri, tra rappresentanza potenziale ed effettiva ha radici che affondano nella lunga stagione post-democristiana in cui il protagonismo e le scelte di campo dei vertici dell’episcopato non lasciavano spazio a visioni e opzioni differenti.

Profughi in arrivo in Italia con i Corridoi Umanitari. Il saluto della Comunità di Sant’Egidio. (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Il cattolicesimo italiano, impoverito dal “centralismo” di quella fase, non è riuscito ad elaborare nuove forme e modalità di partecipazione del laicato alla vita pubblica del Paese né a leggere i segni di un cambiamento radicale anche in campo politico e sociale. A partire dall’epoca del bipolarismo, inoltre, nelle parrocchie e nelle associazioni si è preferito accantonare i temi socio-politici e la fatica paziente di ricomporre le inevitabili divisioni nell’alveo di un sano pluralismo delle scelte politiche dei fedeli. È da questi elementi che nasce l’insignificanza maturata in questi anni e che è emersa in tutta la sua chiarezza durante la campagna elettorale. In vista delle recenti elezioni politiche la Conferenza Episcopale non ha dato indicazioni di voto, nemmeno in maniera discreta e, pur tenendo a distanza chi ha brandito simboli e valori cristiani per farne strumento di propaganda, non ha mostrato preclusioni nei confronti di nessuna forza politica.
Le associazioni laicali più significative si sono affacciate alla scena elettorale quasi esclusivamente per contrastare l’astensionismo. In diverse diocesi sono stati organizzati faccia a faccia con i candidati del territorio, mezzo ormai un po’ usurato, per marcare interesse alla vita politica ma anche equidistanza. Le rare eccezioni a questo trend sono state rappresentate soprattutto da Comunione e liberazione, che ha sempre coltivato la propria presenza sulla scena politica nell’alveo del centrodestra, e la Comunità di Sant’Egidio, che ha ispirato la nascita di Demos, una piccola forza politica ospitata nelle liste del PD.
Se l’assenza di indicazioni di voto da parte dei vescovi è da leggere senz’altro come fatto positivo, è però evidente come il cattolicesimo italiano non sia stato in grado di comunicare una precisa piattaforma programmatica sui problemi di fronte ai quali si trova l’Italia, elencati dalla stessa Cei nel suo appello prima del voto: le povertà, l’inverno demografico, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa del lavoro, l’accoglienza e la tutela dei migranti, le riforme istituzionali.
Questa afasia, che rende sterili il magistero sociale tracciato da Francesco nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti o i momenti di discernimento comunitario come le settimane sociali, è conseguenza anche della mancata formazione, da almeno tre decenni, di laici capaci di rappresentare il punto di vista cattolico nelle formazioni politiche più affini alla loro coscienza. Nelle diocesi non vi è traccia di scuole di formazione sociale, i corpi intermedi di ispirazione cattolica hanno smesso da tempo di essere luoghi di maturazione politica, mentre in molte aggregazioni laicali l’impegno politico viene visto alla stregua di un tabù. In queste condizioni, senza coscienze formate e una cultura capace di elaborare proposte serie per il futuro del Paese, l’invito di Papa Francesco ai cristiani di fare politica con la P maiuscola appare soltanto come un miraggio nel deserto.

(Davide Tondani)