La testimonianza del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ad Avenza
Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio (primo a sinistra), con il vescovo Mario in occasione dell’incontro di Avenza
“Ho sognato che di fronte ai carri armati di Putin ci fossero, come in Piazza Tienanmen, non uno ma milioni di donne e di uomini, l’uno a fianco all’altro. Ho sognato che ci fosse un presidente a Kiev che dicesse: “Vado io incontro ai carri armati e li fermo”. Ho sognato che ci fossero un Nelson Mandela o un Desmond Tutu, che hanno saputo sconfiggere il partito della violenza e attuare una rivoluzione pacifica, dove le sanzioni internazionali si sono sposate con un movimento non violento e pacifico”.
È questo uno dei passaggi della accorata testimonianza che il direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio, ha portato nel corso dell’incontro organizzato dalla diocesi apuana sul tema: “La guerra in Ucraina ci interpella”. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con l’Azione Cattolica e il gruppo “P Maiuscola”, ha l’obiettivo di creare occasioni e spazi per un confronto e un ascolto reciproco su questa grave situazione che, come comunità cristiana, non possiamo ignorare.
Numeroso il pubblico convenuto per l’occasione nel giardino di “Casa Pellini”, messo a disposizione dalla parrocchia di S. Pietro ad Avenza. Presente il vescovo Mario, don Alessandro Biancalani, direttore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali, ha introdotto la serata, che è stata poi condotta da Luca Collodi, capo redattore di Radio Vaticana Italia. Il tema della serata riguardava il rapporto tra informazione, propaganda e fake news nella guerra in Ucraina, ma molti altri sono stati gli argomenti emersi dal dialogo “serrato” tra Luca Collodi e Marco Tarquinio, che poi è proseguito nel ricco dibattito successivo. Si è parlato del nuovo assetto geopolitico provocato dal conflitto, dell’opportunità o meno dell’invio di armamenti in Ucraina, dei rapporti di forza tra Cina e Stati Uniti, del ruolo dell’Unione Europea e della Nato, delle conseguenze socio-economiche di una guerra che sta provocando tanta morte e distruzione.
Dopo l’invasione russa del territorio ucraino dello scorso febbraio, collegata a quanto accaduto a partire dal 2014, la guerra ha manifestato al mondo tutto il suo orrore e la sua forza distruttiva. Allora la sfida è come stare accanto agli aggrediti e ai deboli: inviando armi e aggiungendo guerra alla guerra, violenza a violenza, oppure provando ad uscire da questa spirale di sangue e morte? “Dopo la Seconda Guerra Mondiale – ha detto Tarquinio – non c’è una guerra che abbia portato più felicità, libertà e benessere nelle popolazioni: Paesi spaccati, minoranze massacrate, sistemi economici distrutti, libertà religiose fatte a pezzi, perché non c’è una guerra che abbia sanato le ferite”.
La denuncia del direttore di Avvenire è perentoria: la scelta della guerra porta con sé, inevitabilmente, uno strascico di morte, distruzione e annientamento delle attività umane. L’opzione della guerra ha spesso interpellato le coscienze dei credenti e se in alcuni momenti storici, soprattutto a livello di elaborazione dottrinale, si è avanzata la possibilità della “guerra giusta”, a partire da quanto detto da Benedetto XV, che aveva definito la Grande Guerra una “inutile strage”, si può cercare di uscire dallo schema culturale del conflitto armato perché anche nei momenti più oscuri è possibile recuperare “la parola di Cristo” che porta alla via della pace. “Se la guerra andrà avanti in questo modo – ha aggiunto il direttore – e soprattutto se si continuerà a considerarla secondo la logica di una parte vincente e di una parte perdente, i grandi sconfitti saranno gli europei dell’Est e dell’Ovest: si creerà una grande trincea, brutta copia della cortina di ferro”.
Questa guerra può essere osservata dal punto di vista della sofferenza delle persone intrappolate dentro la tenaglia delle manovre belliche ma anche dal punto di vista di coloro che alla fine ci guadagneranno, cioè chi ambisce a costruire un nuovo ordine, opposto alla visione del mondo come casa comune, policentrico e multipolare, come abbozzato nella “Fratelli Tutti” di papa Francesco. Il cammino della pace è fatto di piccole azioni concrete, quotidiane, unite ai grandi progetti di insieme perché è impegno di ciascuno e responsabilità di tutti. Il contributo dell’informazione “cattolica” va decisamente in questo senso, per raccontare e suscitare storie di accoglienza, di prossimità e di fraternità, nell’ottica di una cultura della pace che parte dall’educazione e arriva all’economia, perché la pace è bene di tutti.
Lunedì 25 luglio, alle 21, stesso luogo, sempre nell’ambito di questo progetto è attesa la riflessione del vescovo, mons. Vaccari.