

L’imponente scultura bronzea sulla Risurrezione di Pericle Fazzini (Grottammare, 1913 – Roma, 1987) è un’opera ad alto impatto suggestivo ed emozionale. Commissionata allo scultore marchigiano da Papa Paolo VI nel 1965, fu terminata dal maestro nel 1975, in ritardo sul previsto a causa di un problema di salute. Inaugurato nel settembre del 1977 alla presenza dello stesso Paolo VI, da quasi mezzo secolo il capolavoro di Fazzini campeggia, con la sua plastica monumentalità, sul palco della sala Nervi e fa da scenografia di fondo alle udienze dei pontefici. In una alternanza caotica tra vuoti e pieni senza forma riconoscibile, in cui il metallo sembra liquefarsi e poi ricomporsi in un divenire continuo di straordinaria forza, si coglie il primo elemento di fondo dell’opera.
In una esplosione di materia, di forme inorganiche, quasi in decomposizione, il Cristo radioso irrompe con una postura che rimanda alla crocifissione; la figura del Redentore porta quindi ancora i segni della sofferenza ma ora è libero, la morte è stata vinta dal suo sacrifico salvifico. A proposito della sua opera, Fazzini spiegava di aver tratto spunti anche dal luogo in cui Gesù ha predicato per l’ultima volta: l’orto degli ulivi, il Getsemani.
Nella colossale plasticità del complesso bronzeo, quel luogo di dolore si intravede forse allora tra quei rami che si irradiano attorno alla figura di Cristo; che lo avvolgono ma al contempo lo sorreggono in una spinta sostenuta da una sovrannaturale energia che lo porta verso l’alto, lasciando indietro le sofferenze patite prima dell’estremo sacrificio. In atteggiamento circonfuso, Gesù emerge dunque dalla voragine delle miserie terrene che lo hanno condannato, liberando una forza che tutto travolge e sconvolge, per trascinare l’umanità verso una dimensione di verità e purezza. (G. B.)