Tra crisi, pandemia e guerra non è sconveniente far parte per sé stesso

Creare le condizioni per salvaguardare l’autonomia del pensiero

Dante e Cacciaguida, miniatura. Quarto decennio del Quattrocento

Far parte per sé stesso in un momento drammatico come questo, è sconveniente? Nel canto XVII del Paradiso Cacciaguida e Dante conversano sulla “compagnia malvagia e scempia” a cui l’esule si unirà nel tentativo di rientrare in Firenze. Cacciaguida mette in guardia il poeta dal pericolo di cadere nella “bestialitate” che è irragionevolezza di pensiero e di comportamento. Sarà “bello”, allora, starsene fuori. L’ “averti fatta parte per te stesso” sarà segno di bellezza e coraggio di ordine morale: una scelta imprescindibile.
Far parte per sé non è “neneismo” (né con…né con), non è badare al proprio utile, ma creare le condizioni per salvaguardare l’autonomia del pensiero. La lezione di Cacciaguida la sento molto attuale. Ogni giorno ci sommerge una marea di opinioni e di notizie sulla guerra: voci attendibili e tesi false o viziate da pregiudizi o manipolate per meschini interessi personali. Far parte per sé può essere utile per portare chiarezza e rimettere equilibrio nella riflessione.
Un effetto collaterale della guerra, che riguarda tutti, è il regredire a una condizione mentale che cerca scorciatoie, alibi e semplificazioni. Che cosa abbiamo fatto? Dove abbiamo sbagliato? Un mondo senza guerra è solo illusione? Starsene in disparte è necessario per evitare risposte banali. Ieri abbiamo affrontato l’epidemia senza un piano. Oggi la crisi energetica ci trova di nuovo impreparati. La politica sembra ignorare il lungo periodo: perché? C’è un progetto di prosperità e di pace? Chi fa parte per sé non accetta una visione del mondo in bianco e nero.
Nel dibattito pubblico la rissa continua cancella ogni sfumatura. Si scivola nella “scissione” di cui parlava Melanie Klein: per il lattante, buono è il seno generoso di latte, cattivo quello da cui il latte fatica ad arrivare. L’adulto è maturo se oltrepassa la “scissione”. Non sempre accade: in tempi normali chi la pensa come noi è simpatico, mentre chi ha idee diverse è detestabile. La guerra poi aggrava questa situazione. Il mondo si divide in angeli e demoni, buoni e cattivi, mostri ed esseri stupendi.
I criteri di giudizio pretendono di essere oggettivi anche quando derivano da reazioni soggettive. La guerra, insomma, ci trasforma in lattanti incattiviti. Si urla la propria verità. Un’analisi articolata è incompatibile con la formula tl;dr (too long, troppo lungo per essere letto o ascoltato). I tempi televisivi sono micidiali. La guerra è a due passi da casa. Il benessere è minacciato. Nessuno sa come andrà a finire. Le speranze di pace affidate a striscioni e bandiere si rivelano fragili.
Non sento nessuno che consigli ai giovani di studiare la storia, la geo-politica, o l’etica che insegna quanto sia difficile la realizzazione del bene personale e di quello comune. Vittima di colpevole dimenticanza è anche Manzoni, che ha scritto di guerre, di epidemie, di manipolazioni politiche, senza ottimismi di maniera e senza scatti d’ira, ma calandosi nei meandri più tortuosi dell’animo umano. Ultimamente ho apprezzato il libro di A. de Botton “Varietà della malinconia”. Il malinconico non è simpatico, ma quando la malinconia è dolce (non orribile e cupa, come quella temuta da Leopardi) è una difesa dalla arroganza, dalla violenza, dalla egocentrica prepotenza.
Ritorniamo a Dante per chiudere con una chiosa: solo il malinconico sa far parte di sé stesso, mentre imperversa la confusione delle parole e trionfano stati emotivi di breve durata.

Pierangelo Lecchini