Non voglio morire allo stesso modo

Domenica 20 marzo – III di Quaresima
(Es 3,1-8a.13-15 – 1Cor 10,1-6.10-12 – Lc 13,1-9)

E non riuscire a separare il sangue della vittima da quello del carnefice; non voglio morire così. Sangue su sangue, a rendere irriconoscibile la vita del sacrificio da quella del sacrificato. Sangue nel sangue, sul pavimento di un qualsiasi santuario, profumo dolciastro, rosso denso, a seccare al sole. Non voglio che il mio sangue, come quello dei Galilei, scorra insieme a quello dei sacrifici. Non voglio morire di sacrificio. Non voglio morire così, non tanto perché esigo di non morire schiacciato sotto il peso di qualche maceria dovuta a qualche crollo improvviso no, quello non sta a me deciderlo, io non voglio morire con il drammatico senso di colpa di chi si vede stritolato dagli eventi. Come quei diciotto che si videro franare addosso la torre di Siloe e forse come ultimo pensiero si chiesero “perché proprio a me?”. Non voglio morire schiacciato dai sensi di colpa.
Voglio morire imparando a zappare intorno a ciò che sembra morto, e dare nutrimento alla terra anche quando sembra esausta. Voglio essere fertile, vivo, io il frutto maturo in un mondo apparentemente deserto. Io il frutto divino in un mondo impaurito. Se muoiono i Galilei nel Tempio io non voglio chiedermi perché Dio non è intervenuto ma voglio fare silenzio e cercare le vedove lasciate sole nel dolore e abbracciare i figli sopravvissuti a tanta violenza. Voglio zappare intorno al mondo che vede cadere le torri cercando gli occhi di diciotto donne senza marito, di madri senza figli, di padri schiacciati dal dolore. Non ti chiederò più “Dio dove sei?” ma ogni giorno voglio chiedermi “io dove sono?”.
Il fico non è sterile perché non produce frutti. La vita non è sterile perché scorre sangue o crollano torri. Dio non è assente perché non interviene e resta muto. Morte, morte vera, è non saper costruire speranza. Io non voglio “morire allo stesso modo”, io voglio sentirti nelle mani che spostano le macerie, nelle dita che asciugano lacrime, tra le urla delle vite spezzate, tra i cuori infranti delle donne sole, io voglio respirarti nel sangue attaccato alle pareti del tempio, io ti cerco e ti trovo non con occhi colpevolizzanti ma in ogni sguardo che riconosce la cura. Il miracolo non è guarire, risolvere la vita, miracolo, miracolo vero è il gesto di cura.

don Alessandro Deho’