I diritti di alcuni non si possono affermare limitando quelli di altri

DDL Zan su prevenzione e contrasto delle discriminazioni.
La Chiesa chiede di tener conto delle esigenze di libertà di religione, d’insegnamento e di espressione

La protesta dello scorso anno in piazza Montecitorio a Roma contro il Ddl Zan (foto SIR/Marco Calvarese)

Era inevitabile che la Nota verbale della Santa Sede firmata dal card. Gallagher e consegnata all’Ambasciata italiana avrebbe sollevato un vespaio di polemiche. Si è gridato all’invasione di campo, all’ingerenza della Chiesa nelle questioni dello Stato. Tanto che Draghi, in Parlamento, ha dovuto fare alcune precisazioni, addirittura ovvie: “Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale. Quindi il Parlamento è certamente libero di discutere e di legiferare. Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa… Voglio infine precisare una cosa, che si ritrova in una sentenza della Corte Costituzionale del 1989: la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”.
E qui sta il nodo della questione. “La Segreteria di Stato – si dice nella lettera vaticana – auspica pertanto che la Parte italiana possa tenere in debita considerazione le suddette argomentazioni e trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione” poiché il ddl Zan violerebbe in “alcuni contenuti l’accordo di revisione del Concordato”.
Ma vale la pena anche ricordare cosa si dice in quegli Accordi: “La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”. In particolare – si legge al comma 1 dell’articolo 2 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana – “è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. Inoltre, il comma 3 recita che “è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La Nota avrebbe dovuto restare riservata ed il fatto che qualche “manina” l’abbia resa pubblica è abbastanza inquietante. A preoccupare non solo la Santa Sede ma tutto il mondo cattolico, anche con sfumature diverse, è l’articolo 7 del ddl Zan “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Finora si era fatta sentire soltanto la parte cattolica più intransigente, ma gli interventi informali da parte della Cei e della Santa Sede c’erano già stati.
La Nota non è piovuta all’improvviso. I richiami, educati, ci sono stati fin da quando il decreto legge è stato discusso alla Camera dei Deputati. Soltanto che sono caduti nel vuoto. Ora sta per andare al Senato. A quel punto, se venisse approvata così come è scritta in questo momento, creerebbe non pochi problemi all’evangelizzazione. Nessuno sia chiaro ha intenzione di minimizzare i diritti delle minoranze, men che meno quando queste minoranze rischiano evidenti pericoli anche di violenze di vario tipo.
Ma i diritti di alcuni non possono essere affermati limitando i diritti di altri. Si possono trovare mediazioni soddisfacenti, ma ci vuole la volontà politica. Oggi sembra che ognuno sia fermo nelle proprie posizioni, da una parte chi vuole a tutti i costi la votazione così come è per evitare un ritorno alla Camera, dall’altra chi la vuole affossare.
La Chiesa ha chiesto di tener conto delle esigenze di libertà di religione, d’insegnamento e di espressione, come dice il card. Parolin. Se qualcuno, nella sua intransigenza, si è messo in un vicolo cieco provi a farsi qualche domanda. La legge, per esempio, non esenterebbe le scuole private dall’organizzare attività in occasione della costituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. Verrebbe intaccata la “libertà di pensiero” dei cattolici e la libertà di educazione.
Si dice che nella scuola c’è l’autonomia didattica, ma questo nella legge non è scritto e potrebbe diventare “pericoloso” disobbedire. Ma non è tutto. Il costituzionalista Cesare Mirabelli ricorda che “è particolarmente rischioso se la previsione di norme penali possano limitare la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero”.
“Il crinale è molto sottile nel senso che si deve evitare che ci sia un rischio di sanzionare penalmente espressioni o comportamenti che sono riconducibili a convincimenti, ma che non sono né di aggressione, né di violenza, né d’incitazione all’odio”. Tra le espressioni di pensiero sta anche tutta la teologia del matrimonio cristiano.

Giovanni Barbieri