Icona ed epigrafe

Domenica 18 ottobre – XXIX del tempo ordinario
(Is 45,1.4-6; 1Ts 1,1-5; Mt 22,15-21)

39vangeloGesù prende la moneta: “immagine e iscrizioni di chi sono?” Anche una moneta ha due facce, ma su di lei è semplice rinvenire i segni del potere: il volto e l’iscrizione sono di Cesare. Per l’uomo invece c’è una complessità profondissima. Noi siamo ciò che mostriamo ma anche quello che pensiamo, quello che sogniamo, noi siamo il volto, il corpo ma anche le emozioni. Noi siamo sempre in mutamento, mai uguali da un istante all’altro. Noi siamo uno, nessuno e centomila. Eppure la domanda brucia e Gesù la tiene aperta: “di chi sei immagine di chi porti l’iscrizione? Di chi sei immagine e somiglianza?” Oppure, per essere più fedeli al testo greco: “di chi sei icona ed epigrafe?”
Ed è commovente questa traduzione. Di chi siamo icona cioè da quale mistero provengono tratto, forma e colore? Da quale Silenzio nascono questi miracoli di Carne e Spirito che chiamiamo uomini? Dove il luogo misterioso da cui ci proveniamo per abitare un brevissimo tratto di eternità? Quale la nostra epigrafe? Quale il segno finale e riassuntivo che lasceremo dopo il nostro passaggio?
Il Vangelo ci invita a interrogarci continuamente sull’Origine e sul Destino, allarga i confini e ci inserisce nella Storia. Dentro agli occhi del fratello che amo ma anche dentro lo sguardo dell’uomo che odio, immerso nella presenza misteriosa di ogni essere vivente che incontro devono esserci sempre queste domande, interrogativi che mi permettono di immergermi nella vita in sacro silenzio. L’altro è Mistero, icona transitoria dell’Assoluto, segno in buona parte indecifrabile del Divino. Solo educando il mio sguardo alla sacralità della carne, icona ed epigrafe di Dio, io saprò resistere alla tentazione della violenza, del controllo. Solo togliendo i sandali davanti al roveto ardente e infinito che è ogni uomo io non mi permetterò mai di prenderlo al laccio come fosse un capretto sacrificale. Solo nella coscienza dell’altro come icona ed epigrafe di Dio io saprò slegarlo, figlio ritrovato, in nuovo definitivo legame.
“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” non è allora la frase che separa il sacro dal profano, gli interessi spirituali da quelli materiali ma un invito a un ritorno a casa. La nostra vita è chiamata a inventare ogni giorno gesti di liberazione perché l’uomo torni a casa, torni a essere icona ed epigrafe dell’Amore. Tutto il resto conta niente. Rendere a Dio quello che è di Dio è azione paziente e meticolosa, è imparare a guardare il mondo con occhi di Padre, è azione costante di misericordia e compassione. Guardo l’uomo e non lo lego, non lo imprigiono, non lo uso, non ne abuso… lo amo con compassione e così facendo lo riporto alla sua intima e radicale verità: icona ed epigrafe dell’amore. Non altro siamo chiamati a fare.

don Alessandro Deho’