Il fascismo di confine fa incontrare D’Annunzio, Mussolini e de Ambris
Alceste de Ambris (1874 - 1934)
Alceste de Ambris (1874 – 1934)

Dal 12 settembre 1919 al 24 dicembre 1920 Fiume fu occupata militarmente da D’Annunzio e da un modesto gruppo di legionari che non accettavano che rimanesse porto libero per dare sbocco al mare ai paesi mitteleuropei. Alceste De Ambris “era stato anche un attivo e deciso sostenitore dell’impresa fiumana, da lui vissuta in chiave rivoluzionaria – scrive De Felice – e capo di gabinetto nel 1920 di D’Annunzio, nonché il vero autore della Carta del Carnaro”, una Costituzione di orientamento democratico, che affermava il suffragio universale anche per le donne, la rappresentanza proporzionale, la giornata lavorativa di otto ore, la paga minima, sistema fiscale progressivo.
D’annunzio ha avuto a lungo dai critici letterari l’ostracismo (pure Pirandello) per il rapporto col fascismo e con Mussolini. Ha “fatto la sua vita come si fa un’opera d’arte” (questa è l’identità di Andrea Sperelli l’esteta protagonista del romanzo “Il piacere”), fu accanito nazionalista, fece propaganda interventista con discorsi di istigazione alla violenza, si atteggiò a poeta vate che parla in nome del popolo, a superuomo-tribuno, fece imprese ardite: sono affinità col fascismo. Ma la Carta del Carnaro firmata dal Comandante D’Annunzio ha carattere antifascista.
Le opere di autentica poesia (terzo libro delle Laudi –Alcyone-, Notturno) svelano un uomo che si abbandona alle emozioni intime, si sente parte della natura, ripiega su stesso in confessioni e ricordi, approda alla cupa malinconia di un fallimentare bilancio dell’esistenza, prevale un senso del finire delle cose, la presenza della morte: niente da spartire col fascismo. Nel 1921 si ritira a Gardone e si apparta dal regime e dalle adesioni quotidiane al conformismo di massa. Nella biografia scritta da De Ambris si legge dell’arrivo di Mussolini a Fiume e, per salvare “Il popolo d’Italia” dal fallimento, rubò 300mila lire dal fondo di offerte per i legionari. In una lettera del 15 febbraio 1920 D’Annunzio lo accusa di tradimento.
Giolitti firmò il Trattato di Rapallo del 20 settembre 1920 che stabiliva la rinuncia dell’Italia a ogni pretesa sulla Dalmazia – salvo Zara – e cedeva alla Jugoslavia una parte cospicua del porto di Fiume. D’Annunzio lo rifiutò, invece Mussolini lo trovò accettabile, rinnegando il suo precedente atteggiamento, quando a Natale la città fu bombardata non fece nessuna protesta. Come accettando soldi dei francesi nel 1914 era subito diventato interventista, così tradì la causa fiumana negoziando con Giolitti.

                  (m.l.s.)