L’altare reliquiario dei Corpi Santi a Virgoletta

Opera d’arte e luogo di pellegrinaggio: un estratto dallo studio di don Emanuele Borserini. 
Commissionato nel XVII secolo da Alessandro, Mattia e Gabriele della famiglia dei della Porta di  Virgoletta trasferitasi a Roma, custodisce i corpi dei santi Fausto, Agatopo, Pellegrina e Quinta

12virgoletta1Nel ‘600 la Lunigiana era caratterizzata da diffusa povertà e frammentazione politica, tra feudi imperiali dei diversi rami Malaspina, lacerti di Granducato e borghi di giurisdizione genovese. Ma anche qui non mancò una manifestazione dell’esperienza artistica tutta romana del barocco resa possibile dallo stretto legame che i membri della famiglia dalla Porta trasferiti a Roma mantennero con la loro terra. È la storia di tre uomini, zii e nipoti, che immersi nel clima culturale e religioso di Roma grazie alla loro vicinanza a tutti i papi della prima metà del secolo, compresero il profondo significato del culto delle reliquie e avviarono attorno ad esso una campagna artistica senza pari.
Capolavoro fu l’altare maggiore della chiesa parrochiale di Virgoletta che custodisce i corpi dei santi Fausto, Agatopo, Pellegrina e Quinta, un’opera che offre molti spunti di riflessione alla fede ma anche alla storia dell’arte. Nel complesso l’altare si trova in buono stato di conservazione anche se non mancano i segni del tempo a carico dei putti e delle giunture tra i blocchi di marmo. La tradizione orale attesta la provenienza romana del paliotto e non pochi si spingono ad attribuirlo al Bernini mentre per le restanti parti c’è meno unanimità e vengono assegnate ad una bottega carrarese perché ad uno sguardo superficiale appaiono di fattura inferiore.
12virgoletta2Alessandro, Mattia e Gabriele dalla Porta potevano avere accesso a Bernini per la frequentazione di casa Borghese e la presenza dell’artista al Pantheon che gli fu sempre di ispirazione e di cui Mattia era canonico. Ma il confronto con altre opere del tempo invita ad avvicinarlo anche ad altri artisti e a non trascurare l’influsso della confraternita dei Virtuosi del Pantheon che raggruppava molti di essi. Per l’accostamento e la fisionomia dei busti dei santi, il primo è Alessandro Algardi che organizzò anche il cantiere di S. Agnese in Agone le cui pale marmoree fecero da modello al paliotto. Qui lavoravano i membri della famiglia carrarese Baratta e Domenico Guidi, nipote di Giuliano Finelli.
12virgoletta4Altro punto di riferimento è la pala con quattro santi della cripta di S. Maria in via Lata di Cosimo Fancelli che completa un altare dalla struttura molto simile a quello di Virgoletta. Dalla ghirlanda di fiori che circonda l’apertura centrale del paliotto vengono gli spunti più fecondi: nelle pale di S. Agnese essa riveste il ruolo di corona del martirio, la troviamo già nella famosa Anima beata di Bernini ed emergerà in opere di fine secolo di Giovanni Baratta come l’angelo leggio della Certosa di Calci e le acquasantiere di S. Matteo a Pisa nonché nell’urna di S. Ranieri di Giovanni Battista Foggini. Essa impone un confronto con la pittura dove la ritroviamo nei ritratti dei martiri di Gorkum di David Teniers e Wouter Gysaerts e una tra le tante realizzate da Giovanni Stanchi era presente nella straordinaria collezione di Cristiana Duglioli Angelelli, anch’essa legata al Pantheon come attesta la lapide che la commemora insieme a Mattia dalla Porta.
Grazie a questa ghirlanda l’indagine si amplia a tutti i campi delle arti, non ultima la letteratura risalendo fino alle antiche Passioni dei martiri in cui essa aveva un ruolo non solo letterario ma anche liturgico. E un approfondimento sull’uso liturgico è necessario per comprendere le caratteristiche di quest’opera che guidarono il suo geniale autore. Infatti è allo stesso tempo un altare per la celebrazione dell’eucaristia, un reliquiario e una meta di pellegrinaggio attorno a cui ancora oggi si cammina.
12virgoletta3Ad ogni funzione corrisponde un tipo diverso di apertura che l’artista ha saputo scegliere con cura dimostrando una dimestichezza diversa: scioltezza in quelle classiche e minore padronanza di quelle più moderne come la tenda sollevata. Grazie a queste aperture l’intera macchina riceve grande leggerezza e avvolge come in un’apparizione celeste i quattro beati affacciati al di sotto del piano dell’apparizione per eccellenza della cultura della Controrifoma.
Ma al centro dell’apparizione ecco che lo sguardo di chi assiste è invitato a penetrare e scorgere la cassa delle reliquie che riporta al dramma terreno del martirio. Su questi piani intrecciati, paradiso e terra, sacramento e reliquia, beatitudine e dramma, si gioca la sapiente composizione dell’opera favorita anche dall’intreccio tra lo sguardo di Agatopo e Pellegrina che dal centro cercano il fedele e quello di Fausto e Quinta che dai lati lo guidano verso il centro.
A ciò si aggiunge il coinvolgimento del pellegrinaggio per raggiungere la grande apertura retrostante che come una nuova apparizione sotto il velo sollevato mette a diretto contatto con i corpi santi. Questa grande unità compositiva invita a non separare troppo nettamente gli ambienti artistici di riferimento del paliotto e delle altre parti e i brevi accenni agli artisti carraresi dell’epoca permettono di non avere timore a spostarne il baricentro fuori Roma. Inoltre, pensare a botteghe attive sia a Roma sia a Carrara rende più ragionevoli aspetti non indifferenti per l’epoca come la comunicazione tra committenza e artista e il trasporto fisico di un’opera così imponente.

Emanuele Borserini

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