
Domenica 2 febbraio, Presentazione del Signore
(Ml 3,1-4; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40)
Un bambino e un vecchio. Una vita che si affaccia al mondo e una storia che sta per chiudersi. Un Testamento che sta volgendo a novità il tempo e un testamento Antico, non superato, portato a compimento. Il Vangelo di oggi narra un incontro, narra dell’abbraccio tra la tenerezza di un vecchio, Simeone, e la fragilità di un bambino; narra di un incrocio di sguardi: gli occhi lucidi, come lucidi sono sempre gli occhi dei vecchi, e gli occhi curiosi, come lo sono sempre quelli dei bambini.
Il Vangelo di oggi narra di una decisione famigliare che crede di portare a compimento un rito e di una Storia che, invece, si infila più in profondità portando a compimento il rito stesso: e inizia da qui la narrazione del Dio del Tempo Nuovo: Gesù di Nazareth. Sembra un bambino come tutti gli altri quello che stanno accompagnando al tempio di Gerusalemme, e probabilmente lo è. Come tutti i bambini appena nati è giusto presentarlo al Signore, così dice il rito. Salire al Tempio e presentarlo al Dio della vita.
E Maria e Giuseppe si mettono in cammino verso Gerusalemme. Ci vorranno trentatré anni per portare a verità quel gesto. Quel bambino, diventato ormai uomo, dal Tempio di Gerusalemme sarà cacciato, persino da quella Gerusalemme che ora lo sta accogliendo. Fuori, sul calvario. Ma sulla croce non sarà più carne di bambino a presentarsi al cospetto del Signore ma carne martoriata di uomo a presentare all’umanità il volto di Dio. Divina, scandalosa, nuova prospettiva sulla realtà. Il nuovo tempio: tutto il Creato. Sembra un bambino come tutti gli altri.
Si sale al tempio e si sacrificano tortore o colombi. Si spezza un volo d’animale per rendere grazie al Dio della Creazione. Passeranno trentatré anni, e quel bambino avrà fatto a pezzi l’idea del sacrificio rituale. Sue le ali, lui la colomba inchiodata alla croce. Lui, ora e per sempre, il sacrificio. Divina scandalosa nuova prospettiva sulla realtà. Unico sacrificio prescritto da Dio: l’Amore.
Sembra una coppia di giovani genitori come tutte le altre. Salgono al tempio perché troppo sangue, troppa impurità segna l’ingresso di un cucciolo d’uomo nel mondo. Occorre purificarsi dal sangue. Trentatré anni passeranno e il sangue non sarà più segno di impurità ma segno d’amore. Ma non sarà più sangue di madre bensì sangue di figlio. Di quel figlio che ora Maria sta presentando al tempio.
Prospettiva nuova, divina e scandalosa: trovare qualcuno per cui dare la vita, fino a versare sangue, se la purezza dell’amore dovesse chiederlo. è difficile riconoscere un Dio così, eppure è indispensabile. Difficile perché non te lo aspetti, difficile perché si nasconde nei riti senza abolirli dando invece loro un nuovo significato: più umano, cioè più vero, cioè più divino.
don Alessandro Deho’