
Il Papa ha compiuto il viaggio verso l’eternità. La vita di Francesco è stata una storia di missione e di evangelizzazione: l’una e l’altra sempre in dialogo e in binomio. Ha insegnato la grandezza dell’amore e la forza della speranza.

“Urbi et Orbi”: alla città di Roma e al mondo intero: è questa l’ultima grande benedizione che Papa Francesco ha impartito e implorato su tutti noi, nel giorno della Pasqua di Risurrezione. Una benedizione sofferta con la quale il Santo Padre ha fatto della sua stessa vita un’Eucaristia ed una Pasqua. La sua Pasqua.
La Pasqua del discepolo del Signore che non si è vergognato a presentarsi al mondo con la veste della fragilità e un solo filo di voce. La Pasqua del discepolo è allora l’incontro concreto con Gesù Maestro che si fa abbraccio di redenzione.
Mentre la Chiesa celebrava l’Ottava della Pasqua, è giunta l’alba. La sua alba. La pienezza della sua Pasqua. Il crepuscolo quaresimale, appena concluso, introduce così completamente all’aurora pasquale e spalanca i suoi occhi verso la Luce eterna: la luce del Risorto.

Quella luce “nuova” che la Veglia Pasquale ha inaugurato e che si fa ora luce eterna. Il dì “che si va aprendo” per Papa Francesco gli fa assaporare ora una giornata “nuova”, dove non ci sono più né lutto né affanno…perché le cose di prima sono passate. La scomparsa del Vescovo di Roma invita a riscoprire due concetti immensi che la Pasqua stessa contrappone: la morte e la Vita.
Quella Vita vera con la “V” maiuscola che d’ora in poi gli appartiene per l’eternità, verso la domenica senza tramonto dove l’Alleluia della Pasqua pervade e sovrasta le schiere celesti. Il Papa ha compiuto il viaggio verso l’eternità.
Un viaggio che ha il sapore del ritorno a casa. Un viaggio “apice” dell’attesa e della speranza. La speranza del cristiano – quella cui è dedicato l’anno giubilare aperto dal Papa stesso – che è Pasqua cioè gioia vera, dolcezza, bontà e misericordia. Una speranza che si sperimenta nell’incontro, nel giudizio, nell’amore.
E quasi profetico è il titolo della recente biografia del Papa Francesco, Spera. Ora la speranza si fa piena, è lo “stare alla Sua Presenza”. La vita di Francesco è stata una storia di missione e di evangelizzazione: l’una e l’altra sempre in dialogo e in binomio. Sempre capaci di affrontare le condizioni della società, i disagi dei tempi, l’evoluzione della storia.
In questo contesto l’interesse di Papa Bergoglio per la chiesa “in uscita”, gli emarginati, i sofferenti, i poveri cui ha dedicato tanta passione e per cui ha consumato le sue energie: “superimpendar pro animabus” – spendendosi per le (loro) anime.

Uno “spendersi” che ha espresso la più alta nobiltà del suo magistero petrino, nella ricerca della tanta agognata pace. Uno stile, il suo, fatto di pochi fronzoli e dell’essenziale che lo riconduceva ad essere “vicario di Cristo”, padre e pastore.
Piangiamo una persona buona: il tratto gentile, i modi di fare cordiali, l’inconfondibile accento latinoamericano. Un vescovo che si è interessato della sua Diocesi. Un “regnante” che ha governato sapientemente e che ha traghettato “la barca di Pietro” in momenti certamente non buoni: gli abusi e la pedofilia all’interno della Chiesa, i postumi del Vatileaks, le finanze vaticane…
Un uomo e un sacerdote capace di annunciare il Vangelo. Sempre pronto a stare “con le lampade accese” perché la notte non impedisse alla verità di venire alla luce. Papa Francesco lascia un grato ricordo.
Insegna la grandezza dell’amore. Amore per quanti lo professano, per chi ha perso la forza di vivere, persino per chi è lontano da Dio. Amore per tutti: perché l’amore è ciò che sorprende e spinge il mondo. Il suo “pascere” il gregge di Cristo è stato l’esempio per ogni pastore, chiamato a proclamare “le meraviglie” del Signore.
“Pascere vuol dire amare e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire”. Con queste parole – pronunciate da Benedetto XVI nella messa di inizio del suo ministero e riprese dallo stesso papa Francesco al funerale del predecessore – ricordiamo il servizio che un Papa, vero uomo di Dio, ha adempiuto, fino alla sua Pasqua.
E adesso, mentre il suo corpo conclude il servizio nella vigna del Signore, l’anima incontra Dio Padre. A noi rimane un esempio di umanità mentre come pellegrino “scala” l’ultima vetta, quella più importante. Una vetta che è nuova ma non ignota per chi l’ha attesa e proclamata. È il momento della vetta più alta: quella del Paradiso.
Arrivederci caro Papa Francesco e grazie per il dono della “tua” vita.
(Fabio Venturini)