La chiusura della UsAid sulla pelle dei poveri

“Siete una risorsa potente, che ci permette di esercitare la nostra influenza per il mantenimento della libertà. Se non fossimo coinvolti in maniera così importante, la nostra voce non avrebbe tanto vigore e poiché non vogliamo mandare truppe americane in tutte le parti del mondo dove la libertà potrebbe essere a rischio, mandiamo voi”.

Così John Kennedy nel 1962, rivolgendosi al personale UsAid, l’Agenzia per gli aiuti internazionali allo sviluppo degli Stati Uniti, spiegava il senso della presenza di quella organizzazione nel mondo: uno strumento di solidarietà e di controllo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Nel tempo l’UsAid è diventata la più importante sostenitrice degli aiuti internazionali fino a giungere ad un contributo di 42 miliardi di dollari nel 2024 (circa il 40% dei contributi globali).

Il presidente Donald Trump

Nei giorni scorsi l’Amministrazione di Trump ha annunciato di aver iniziato l’iter per la chiusura definitiva dell’Agenzia. Alcune funzioni saranno assunte dal Dipartimento di Stato entro il primo luglio, mentre altre ritenute non in sintonia con il governo statunitense, saranno abbandonate. Ci sono certo molte critiche da fare all’organizzazione, ma si potevano fare correzioni senza “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Si buttano a mare milioni di vite.

A dire la verità anche altri governi donatori europei hanno manifestato l’intenzione di diminuir ei loro impegni: Regno Unito meno 40%, Francia meno 37%, Paesi Bassi meno 30%, Belgio meno 25%. Non è necessario ricordare che il mondo, soprattutto occidentale, soffre delle incertezze sulle decisioni di Trump riguardo ai dazi, alle guerre di Ucraina e di Gaza, alle difficoltà circa le alleanze politiche ed economiche tradizionali, E’ un dato di fatto che, come sempre, sono i poveri a pagare più duramente i conflitti dei grandi.

Tra le motivazioni apportate dal governo Usa c’è l’affermazione: “L’UsAid si è allontanata dalla sua missione…. I guadagni sono stati troppo pochi e i costi troppo alti”. Non si parla di solidarietà e di lotta alla fame o alla miseria. Per rendere immediata la decisione si è operato da subito il licenziamento del 90% del personale provocando l’eliminazione di 5.200 progetti su 6.200. Per avere un’idea del problema è bene ricordare che l’UsAid opera in Paesi come Burkina Faso, Ciad, Nigeria, Afghanistan, Yemen, Libano, Sud Sudan, Siria, Etiopia, Giordania… non sono precisamente popoli che navigano nell’abbondanza.

Le decisioni hanno imposto la chiusura di ospedali e centri sanitari e bloccato i programmi nutrizionali, l’assistenza in denaro e la distribuzione di cibo, così come l’assistenza legale per gli sfollati e programmi essenziali di accoglienza, istruzione, acqua e servizi igienici. Ancora una volta si sacrifica sull’altare dell’economia e del potere la solidarietà e l’umanità.

Giovanni Barbieri