
Pellegrinaggio a Roma: 402 persone di cui 50 sacerdoti.
Da vent’anni alla guida era mons. Giovanni Sismondo: una diocesi piccola e povera ma viva e piena di speranza per il futuro dopo gli anni drammatici della guerra

A differenza di quello che tanti sostengono, ovviamente ideologicamente e senza una riprova effettiva, anche la piccola diocesi di Pontremoli si stava affacciando alle novità del 1950, guidata da un valente pastore, troppo spesso dimenticato, quale Mons. Giovanni Sismondo, il cui operato in diocesi andrebbe insegnato nelle scuole, consapevoli, non senza esagerazioni, che a lui Pontremoli deve la sua esistenza.
Il presule piemontese, nel 1950, era ormai da vent’anni a capo della chiesa apuana, come ricordava un appello dell’Azione Cattolica sulle colonne di questo settimanale nel marzo dello stesso anno: due momenti di gioia e di gratitudine verso Dio e verso un uomo che aveva davvero beneficato tutti, senza distinzione, nei momenti duri dove, purtroppo, la storia dell’Italia e del mondo aveva solcato i sentieri delle nostre montagne e aveva bagnato con sangue innocente l’arenaria delle nostre piazze.
Pontremoli e la sua diocesi erano poveri, piccoli, ma pieni di fede e di speranza per un futuro migliore, fiduciosi che Dio non li avrebbe abbandonati, come, per mezzo del suo servo Giovanni, aveva fatto nell’ora più buia della guerra. Una diocesi più povera di oggi, ma certamente più viva era quella che, nonostante la miseria, si era messa in pellegrinaggio per Roma: 402 persone di cui 50 sacerdoti. La cronaca de “Il Corriere Apuano” riporta lo stupore dei nostri padri di fronte a Roma, visitate insieme dal professore e dal contadino, dal ferroviere e dal monsignore, tutti insieme ad limina Petri, guidati da mons. Sismondo.

Oggi Roma è vicina a noi: settantacinque anni fa non lo era e non era così comune che una diocesi così piccola, fatta di contadini, occupasse quasi un treno intero per farsi pellegrina a Roma per quattro giorni a luglio. È interessante vedere come anche allora i problemi erano gli stessi: la paura per la canicola romana, la richiesta della puntualità, il godere delle bellezze di una città “nuova” quasi per tutti.
Se è vero che una storia gloriosa e importante è propria di Pontremoli, è innegabile che nulla è paragonabile a Roma. L’Anno Santo e il ventennale dell’episcopato di mons. Sismondo furono anche l’occasione per chiedere un maggior impegno nel bene comune di tutti i cittadini, consapevoli che solo in Cristo si deve riporre la propria speranza: un territorio ferito, povero, ma capace di innovarsi e di rimboccarsi le maniche per tutti, forti nella fede.
Forse che anche oggi dovremmo imparare dai nostri predecessori? Se le macerie di oggi sono lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione, non c’è forse più bisogno di cristiani impegnati che possano “andare avanti”, forti nella fede, pur venendo da realtà piccole, semplici e troppo spesso dimenticate dai piani alti? Quel “gruppone” di quattrocento fedeli ebbe la forza di andare avanti, ma non era meno degni di tanti altri né meno inconsapevole di ciò che la fede chiamava a fare.
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Riccardo Bassi