
I tanti ritorni a Pontremoli

Lou Carnesecca, una vita ad insegnare basket alla St. John’s University di New York, è tornato molte volte a Pontremoli: da bambino con i genitori, da adulto a incontrare i parenti e partecipare a momenti “ufficiali”. Non ancora adolescente era rimasto a Cargalla alcuni mesi: frequenta la scuola locale, esprimendosi soprattutto nel dialetto del paese. Una caratteristica, questa, che lo avrebbe contraddistinto anche nei successivi soggiorni in Italia: parlava un buon italiano nelle occasioni ufficiali, preferiva il dialetto negli incontri con i numerosi parenti pontremolesi e i conoscenti.
In un’occasione i genitori erano rientrati per un paio d’anni in Italia, risiedendo a Gaiano, la località non lontano da Fornovo dove papà Alfredo aveva acquistato un ampio podere con annessa una bella casa colonica, una sorta di villa di campagna. L’uomo, appassionato di pesca a mosca, infatti non mancava di frequentare i torrenti della Valdantena e per qualche tempo aveva anche cullato il progetto di tornare definitivamente in Italia.
Ma il richiamo di quella che da tempo era diventata la sua nuova terra era stato troppo forte, anche perché “Lou” si era sposato ed era ormai inserito in pianta stabile alla St. John’s University e non avrebbe seguito i genitori nell’eventuale ritorno in Appennino. A parte nell’occasione citata quando era poco più che bambino, per l’allenatore di basket si trattava sempre di brevi visite in occasione delle quali soggiornava a Cargalla; a Pontremoli il maestro Armando Chiodi, che aveva sposato Giuditta Carnesecca, cugina di Lou, lo accompagnava a conoscere appassionati e praticanti dello sport pontremolese.
Nel 1968, in occasione del soggiorno a Roma per il primo dei “clinic’, i corsi di aggiornamento agli allenatori che avrebbe tenuto in Italia in più occasioni nei venti anni successivi, con la moglie Mary e la figlia Enes era stato ricevuto e premiato in Comune dall’allora sindaco Adamo Bianchi e dal presidente della Fondazione Città del Libro, Luigi Serni.

Silvano Marcucci, uno dei “padri” della pallacanestro locale, ricorda un incontro al Bambarone, seduti nei tavolini all’aperto del Bar Moderno; un piccolo gruppo di amici guidato da un’altra figura emblematica dello sport pontremolese: Marcello Borzacca. Un’occasione irripetibile, anche se informale, per trovarsi a tu per tu con un vero e proprio “mostro sacro” della pallacanestro mondiale.
Eppure, ricorda Marcucci, “quello che traspariva era la grande semplicità di quell’uomo, la cui statura di coach era nota a livello planetario, eppure così alla mano. Per noi, all’epoca ancora un po’ ‘acerbi’ nel basket che cercavamo di avviare a Pontremoli è stata un’esperienza importante, così come sarebbe stato importante se avessimo potuto averlo un po’ tutto per noi quale grande maestro: ci sarebbe stato davvero utile”.
Anche la sezione pontremolese dei Veterani dello Sport ha riservato al grande allenatore di basket riconoscimenti per la sua straordinaria carriera di uomo di sport ed educatore di tante generazioni di giovani. Era stato “Cio” Tassi, appena eletto presidente, a promuovere l’assegnazione di due premi: il primo nel 2006 in occasione dei quarant’anni dei “Veterani” di Pontremoli e il secondo per il cinquantesimo.
In quelle occasioni i riconoscimenti erano stati ritirati dal figlio di Armando Chiodi, Pietro, che li aveva fatti recapitare oltre oceano a quel cugino che non ha mai reciso il legame con Pontremoli.
Paolo Bissoli