
L’Europa dopo la prima guerra mondiale non è più centro del mondo e di una grandissima civiltà, molti mali la insidiano, aggravati con molta rapidità nel presente. Il libro di Paolo Rumiz, Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa, (Feltrinelli, 2024) li esamina con lucida razionalità e con corretta ampia informazione. Il giornalista e storico ha consumato molte paia di scarpe a viaggiare e consultare archivi “per ascoltare le periferie senza voce”.
Questo libro è l’ultimo di una tetralogia in cui Rumiz in tono epico rende a noi contemporaneo l’antico mito di Europa, eroina rapita dal toro che diventa una specie di metafora di un processo involutivo sublimato in Trieste la sua città natale ritornata italiana il 9 ottobre 1954.
Vede nei Balcani il principio e la fine di tutto ciò che da pochi decenni è avvenuto in Europa. Il momento è nel 1992 quando (di nuovo a Sarajevo come nel 1914) cecchini serbi sparano sulle persone al mercato, fanno morti e seminano panico. Da allora le stragi e il conteggio dei morti sono nei notiziari quotidiani ma non ci impressionano più perché siamo scivolati nel mare morto dell’indifferenza, i fatti non contano, contano la percezione e gli innominati influencer.
Inquieto e vigile Rumiz scrive un libro di analisi immaginate, fatte in una notte e distinte ora per ora da mezzanotte alle sei. Ha tempo per sentire il vento di malaugurio, per fare l’analisi dei tanti malanni: razzi che fanno saltare in aria case con i loro abitanti e “santuari” come scuole e ospedali, poteri selvaggi guidano l’economia, si rifiuta di dare soccorso in mare. Il libero pensiero è insidiato da censure, giovani che testimoniano pace e libertà sono presi a manganellate o schedati come criminali.
La maggior parte delle persone tace e si adegua, ripiegate su se stesse, in greco si dicono “idioti”, i semplici che hanno paura della complessità del mondo e non si lasciano fecondare dall’incontro con l’Altro. Si è cominciato con la guerra economica che ha creato differenze gigantesche tra chi fa mostruosi profitti con l’economia di guerra e i poveri sono in numero sempre più grande.
Si va costruendo un’opinione pubblica pilotata da incompetenti che disprezzano la cultura e la scienza. L’opposizione politica fa raffinate analisi ma sembra in ipnosi, non fa proposte alternative di sistema. Internet e la rete dei “social” sono potentissimi persuasori occulti, macchine che diffondono un pensiero unico manicheo, bipolare che parte da algoritmi e uccide le infinite sfumature della realtà e il ragionamento.
Manovratori della parola violano il vocabolario e la sintassi, l’identità diventa sinonimo di nazionalismo, che già ha portato a due guerre mondiali, a genocidi e ogni sterminio. Anamnesi e diagnosi dei mali d’Europa sono infauste, però ci sono le terapie, da Rumiz affermate con uguale forza e intelligenza.
Il bene c’è ma non fa notizia. Eppure sono moltissimi gli individui che resistono ai mali sociali; non fanno massa critica però sanno ascoltare i bisogni veri, sono i piccoli coltivatori biologici. I resistenti in terre di mafia, quelli che non hanno paura dell’ignoto, lottano contro le ipocrisie e una indecente vuota retorica.
Per distruggere lo spettro della barbarie in Europa il rimedio è rispondere a tutti col cuore: la democrazia è reale e la conserviamo puntando su istruzione, salute e non sul denaro. Non facciamoci contaminare dai pessimisti che si tengono lontani dall’agire.
Il coraggioso è l’ottimista che ce la mette tutta, è indomabile, usa bene le parole, fa emergere il loro senso nascosto, dà loro la forza che fa cambiare le cose, riesce a cercare un punto luce nelle tenebre notturne, un barlume di fede. Le parole non sono poco, in questo sconfortante silenzio, hanno una forza che dà fiducia.
Presto sarà il tempo delle primule. Aspetto le rondini: i nidi sono già pronti in cantina. Fine del libro.
Come non dire “grazie, Paolo Rumiz”?
Maria Luisa Simoncelli