
Ad Aulla la conferenza del soprintendente di Siena ha inaugurato le “Notti dell’Archeologia” in San Caprasio Numerose le informazioni che arrivano sugli usi e i costumi degli Etruschi e dei Romani
A San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena, c’è il più grande deposito di statue in bronzo di età etrusca e romana mai scoperto nell’Italia antica e uno dei più significativi di tutto il Mediterraneo. E questo è stato l’argomento della prima delle “Notti dell’Archeologia”, appuntamento consolidato e sempre molto interessante, organizzato ad Aulla nel chiostro dell’antica abbazia di San Caprasio.
Ospite e relatore della serata è stato Gabriele Nannetti, soprintendente di Siena, che è entrato nel dettaglio dei ritrovamenti, mostrando al pubblico, riunito nel suggestivo spazio all’aperto, molte immagini di statue, ma anche monete ed ex voto. Nel dettaglio, le campagne di scavi hanno permesso il rinvenimento di oltre venti statue che raffigurano le divinità venerate nel luogo sacro.

“Lo stato di conservazione – ha esordito – è eccezionale, grazie all’acqua calda della sorgente che ha permesso anche di preservare iscrizioni in etrusco e latino che furono incise sulle statue prima della loro realizzazione. La gran parte di questi capolavori dell’antichità si data tra il II e il I secolo a.C. Si tratta di un periodo storico di grandi trasformazioni nella Toscana antica, nel passaggio tra Etruschi e Romani”.
In quell’epoca di grandi conflitti tra Roma e le città etrusche, ma anche di lotte all’interno del tessuto sociale di Roma, nel santuario del “Bagno Grande” nobili famiglie etrusche e romane dedicarono assieme le statue all’acqua sacra.
Un contesto multiculturale e plurilinguistico assolutamente unico, di pace, circondato da instabilità politica e guerra. Probabilmente le statue erano posizionate sul bordo esterno della grande vasca sacra e ancorate sugli eleganti blocchi in travertino.
A più riprese, sicuramente nel corso del I secolo d.C., le statue furono staccate dal bordo della vasca e depositate sul fondo. L’esperto ha raccontato anche un altro episodio curioso: pare infatti che l’evento che nel primo trentennio del I secolo d.C. portò i romani a “seppellire” le statue nell’acqua calda della fonte, fosse stato un fulmine caduto proprio vicino alla sorgente, che i sacerdoti interpretarono come un segno degli dei.
Secondo il principio dell’ars fulguratoria (l’arte di interpretare i fulmini), di tradizione etrusca, ciò che all’interno di un tempio o di un santuario veniva colpito da un fulmine doveva essere sepolto sul luogo del prodigio e il fulmine stesso doveva “essere sepolto”.
“La prima campagna di scavi risale al 2019 – ha aggiunto il dott. Nannetti -, la cosa importante non è legata solo alla quantità di reperti trovati, ma alle numerose informazioni che arrivano sugli usi e i costumi dei due popoli”.
A presentare il relatore ci ha pensato il direttore del Museo di San Caprasio, Riccardo Boggi: Gabriele Nannetti, nelle sue vesti di allora dirigente della Soprintendenza di Firenze, è stato fondamentale nel curare gli “adempimenti per i grandi restauri strutturali di San Caprasio.
Con Nannetti Boggi ha ricordato l’adesione fondamentale del parroco don Giovanni Pasquelli, del vescovo Eugenio Binini e l’opera concreta del parroco Giovanni Perini e di don Lucio Filippi. Fondamentale è stato l’apporto di Tiziano Mannoni, dell’archeologo Enrico Giannichedda e dei tanti volontari dell’associazione che accolgono i pellegrini e aiutano nell’organizzazione delle Notti dell’Archeologia”.
Monica Leoncini