Siamo alla vigilia della settimana che vedrà l’assegnazione del 72° Premio Letterario Bancarella, promosso e organizzato dalla Fondazione omonima. Preceduto dal “Bancarella Sport” (sabato 20 luglio), la serata con lo spoglio delle schede e la proclamazione del vincitore è in programma per domenica 21 luglio in piazza della Repubblica a Pontremoli.
E c’è attesa per conoscere a chi andrà la statuetta del San Giovanni di Dio, potrettore dei librai.
Ecco sei brevi schede dei libri finalisti.
Aurora Tamigio “Il cognome delle donne” (Feltrinelli)
Aurora Tamigio riempie il suo primo romanzo con dilatate descrizioni di una famiglia per tre generazioni. C’è l’antico e c’è il moderno nel paese siciliano: la nonna Rosa è la donna che rispetta sempre le sue tradizioni con convinzione, saggezza e consistenza morale. Il suo matrimonio felicissimo, costruito su amore pieno e corrisposto, viene spezzato dalla politica dei governi che ha portato la guerra, dove l’amato marito Sebastiano trova la morte. Come le tantissime donne vedove Rosa deve provvedere ai tre figli. In filigrana ritroviamo sullo sfondo la storia d’Italia dopo il 1945.
La narrazione degli eventi lieti e gravi, degli errori e degli inganni, delle delusioni e dei successi rimane fluida; certamente un taglio alle minuzie delle descrizioni sarebbe gradito al lettore e anche un titolo del romanzo più attraente, più “parlante”. I riferimenti a valori chiari e positivi sono ben evidenziati. Insistenza sui cognomi un po’ strani di tutti i personaggi porta a parlare della donna nella società, è pur vero che le donne portano sempre il cognome di un maschio, padre o marito.
Ma le donne imparano ad amare quel che si ha, è la dolcezza ricavabile dalla propria vita e questo è possibile che si mantenga o si perda il cognome delle donne. Il quadro realistico dell’intreccio è dato anche dal linguaggio agile, senza le espressioni volgari tanto abusate e con sperimentazioni di vocaboli ibridi tra dialetto e lingua ufficiale con simpatici neologismi soprattutto alterati al grado vezzeggiativo.
Valeria Galante “La casa delle Sirene” (Mondadori)
Valeria Galante, traendo ispirazione dalla storia della sua famiglia, ritrovata nelle pagine del diario della nonna e poi ricostruita attraverso documenti d’archivio e racconti orali, narra una saga tutta al femminile, quella di Elvira e delle sue figlie Angela e Giuseppina Morelli, contestualizzata tra il 1850 al 1900 in una Napoli più bella che mai.
Un esordio letterario, quello di Galante, che comincia con un matrimonio senza amore combinato dalla famiglia caduta in disgrazia. Il primo giorno della nuova vita è segnato da una scoperta che sconvolge la bella villa fin nelle stanze della servitù. La maledizione che Elvira si convince sia scesa sulla casa, la sua solitudine e le scelte indigeste legate al suo ruolo si sviluppano anno dopo anno e sembrano trasmettersi alla bellissima figlia Angela e a Giuseppina, adottata proprio nel tentativo di ripianare i debiti con il destino.
L’esistenza delle tre donne, fatta di sogni, libertà e felicità negate per un supposto “bene della famiglia”, sulla quale si accanisce pure la malattia, si intreccia con le trasformazioni che coinvolgono Napoli: l’arrivo di Garibaldi, l’Unità d’Italia, i nuovi quartieri della città in espansione, l’epidemia del colera che non fa differenza tra ricchi e poveri.
È in quel contesto che, improvvisamente, brillerà la scintilla dell’emancipazione, la forza di strappare il diritto a vivere non la vita che ci è stata data in sorte, ma quella che la nostra anima si merita.
Marilù Oliva “L’Iliade cantata dalle Dee” (Solferino)
Ha una produzione letteraria importante la bolognese Marilù Oliva, insegnante con la passione per la scrittura e autrice di numerosi saggi e romanzi. Dopo “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre” seguita da “L’Eneide di Didone” ecco che con questo “L’Iliade cantata dalle dee” l’autrice ci porta a Troia, nelle settimane dell’ultimo anno di guerra, dove gli eroi sono impegnati nei combattimenti sotto le mura. Con loro ci sono anche gli dei e, verrebbe da dire, soprattutto le dee.
Così sono proprio queste ultime a parlarci della vicenda; Atena descrive l’ira di Achille da cui tutto è nato, la cui madre Teti ne svela la personalità e i sentimenti. Poi ci sono le due dee rivali: se Afrodite osserva la battaglia e racconta le gesta di Paride ed Enea, Era è schierata dalla parte dei Greci. Elena e Cassandra sono testimoni che raccontano dall’interno della città assediata e sono il simbolo della sofferenza che caratterizza il presente delle donne in ogni guerra. E un ruolo da protagonista è ritagliato anche per la moglie di Enea, Creusa, troppo spesso trascurata dalla storia.
Tanti capitoli diversi per delineare quell’universo femminile che è dunque il protagonista di questo romanzo. Pagine nelle quali l’autrice immagina e compone i pensieri delle donne che assistono, partecipando, tra dolore, rabbia e speranza, ad uno degli eventi più noti della storia eppure ancora così drammaticamente affascinante e da indagare sotto nuovi punti di vista.
Franco Faggiani “L’inventario delle nuvole” (Fazi Editore)
Il romanzo narra la storia di Giacomo Cordero della famiglia Cordero di Prazzo, un borgo nella Valle del Maira nelle montagne cuneesi. Il nucleo familiare è composto anche dal nonno Girolamo, dalla sua compagna Desideria e dalla madre di Giacomo Lunetta, vedova di Agostino, figlio di Girolamo. È ambientato durante la Prima Guerra Mondiale e nei primi anni del primo dopoguerra.
I Cordero sono una famiglia di commercianti, che, oltre ad approvvigionare l’esercito italiano, vende prodotti agricoli e bestiame, ma soprattutto capelli che Giacomo recupera dalle donne residenti nelle frazioni sopra Prazzo e che poi saranno consegnati negli ateliers europei per produrre parrucche. La prima parte del libro ruota attorno alla figura del nonno, il quale è un capofamiglia severo e temuto dai suoi familiari e dagli abitanti della valle. Lo spartiacque della trama è rappresentato dalla morte di Girolamo poiché i familiari e i valligiani iniziano una nuova vita più serena e meno faticosa.
L’autore descrive in modo molto vivace e dettagliato la natura del cuneese e il rapporto stretto tra essa e l’uomo, ma rende anche un quadro molto preciso dell’economia, della realtà e della società contadina e montanara dell’epoca. I personaggi sono tratteggiati bene e con realismo. Lo stile è fresco e accurato. All’interno del racconto sono citati i librai ambulanti di Montereggio con le parole “provenienti dalla lontana Lunigiana” delineando la figura di uno di questi e sottolineando l’importanza della loro attività.
Daniele Pasquini “Selvaggio Ovest” (NNE)
Dopo “Io volevo Ringo Star” (2009), “Ripescati dalla piena” (2014) e “Un naufragio” (2022), il fiorentino Daniele Pasquini continua nel filone dei romanzi ambientati in Toscana. Questa volta però il teatro è la Maremma, oggi meta turistica, un tempo abitata da un’umanità formata dai butteri impegnati nel loro lavoro quotidiano, una vera e propria tradizione che si perde nei secoli.
L’allevamento del bestiame, la cura dei cavalli e l’attenzione nei confronti dei briganti, così numerosi in quel “Selvaggio Ovest” immutabile angolo dove il tempo sembra essersi fermato in quell’Italia che si è appena definita negli anni di fine Ottocento. Ma ci sono anche i carbonai, condannati ad uno dei lavori più faticosi, isolati per settimane nei boschi. Gente disperata impegnata a lottare ogni giorno in una natura ostile come i tempi nei quali è costretta a vivere.
Pasquini delinea le figure dei tanti personaggi. Ci sono Giuseppe “Penna” e Donato, padre e figlio: il primo è riconosciuto da tutti come un buttero di poche parole ma di grande capacità; il secondo è noto per aver fatto arrestare uno dei briganti più in vista, Occhionero. Figlia di un carbonaio è invece Gilda: il brigante e i suoi uomini le hanno usato violenza e la giovane medita una spietata vendetta. Non sa che Occhionero si sta preparando ad evadere dalla caserma.
In questo intreccio di relazioni e sentimenti si inserisce una novità che passerà alla storia: è niente meno che Buffalo Bill ad arrivare nella Maremma grossetana con il suo “Wild West Show” lo spettacolo che assomiglia ad un circo che porta in giro per il mondo le caricature del vecchio west americano.
Emanuela Anechoum “Tangerinn” (Edizioni E/O)
Mina ha trent’anni e conduce a Londra una vita costruita con grande attenzione e poca spontaneità, nel tentativo spasmodico di sentirsi finalmente “giusta”. Una sera riceve una telefonata da sua madre: il padre è morto. Un padre che Mina aveva tentato di cancellare, parimenti al suo passato, Mina infatti è il frutto dell’amore di una coppia mista: madre italiana e padre marocchino.
E questa “diversità” è all’origine del suo disagio esistenziale, in equilibrio fra piani sociali, in un perenne stato di irrisolutezza; per questo ha deciso di abbandonare la piccola comunità del paese per mescolarsi in mezzo alla moltitudine di etnie della metropoli inglese. Mina torna quindi a casa per i funerali, ma finisce per restare a lungo. Casa è la periferia di un paese sul mare del Sud Italia in cui suo padre gestiva un piccolo bar sulla spiaggia frequentato per lo più da immigrati.
Omar, il padre di Mina, aveva cercato con quel bar di creare una piccola comunità per tutti coloro che non si sentivano accolti da quella nuova terra. In quel luogo dove nessuno sembra essere al suo posto, dove le persone appaiono come fantasmi che passano e svaniscono, Mina ritrova la famiglia, gli amici e soprattutto i ricordi del padre, questo mitico, inafferrabile, eterno migrante con un misterioso passato in Marocco.
In quest’avventura sensuale ma a tratti quasi metafisica, Mina scoprirà che le radici sono solo un sogno sfuggente, un desiderio di ritrovarsi in una storia comune, in un affetto profondo che ci faccia dimenticare, almeno a tratti, la ferocia del mondo e le ferite dell’abbandono.