
Questa settimana ci accompagna verso il Giubileo lo stile “sobrio e deciso” di San Caprasio, patrono di Aulla

“La santità di San Caprasio ci contagi”. Ha esordito con questo augurio il canonico Lucio Filippi, parroco-abate di San Caprasio, accogliendo sabato 1° giugno, nella chiesa parrocchiale di Aulla, i fedeli del territorio, le varie associazioni, il sindaco, le autorità militari, presenti in occasione della festa patronale.
La S. Messa solenne in onore di San Caprasio è stata presieduta da mons. Mario Vaccari, nostro vescovo diocesano, unitamente al vicario generale, ai sacerdoti e ai diaconi del vicariato di Aulla, guidati dal vicario foraneo don Anthony Nnadi.
Il vescovo Mario, nell’omelia, ha invitato a vivere la celebrazione di San Caprasio “all’insegna” del desiderio di santità che ci abita. Ha quindi sottolineato le due vie che un cristiano deve percorrere per “raggiungere” la santità.
La prima: amore verso Dio-creatore che ci ha creati “donandoci la vita” e ci ha rigenerati attraverso la Sua grazia, chiamandoci a rinascere “a vita nuova”.
La seconda via è invece quella dell’amore per il prossimo, metodo per donare agli altri quello che “gratuitamente” abbiamo ricevuto dal Signore.
La biografia di Caprasio – santo vissuto nel secolo successivo a quando il cristianesimo divenne religione dell’impero – ci porta a riscoprire l’importanza della vita eremetica. Agli occhi del mondo, ha affermato mons. Vescovo, chi sceglie di diventare eremita sembra voler “uscire” dal mondo.
In realtà questo è l’aneddoto per vivere più profondamente le realtà mondane e per seguire le vie di amore che conducono alla santità. Il privilegio della presenza del corpo di San Caprasio, riscoperto nell’abbazia di Aulla nei primi anni del nuovo millennio, ci porta non ad una semplice e “devota” venerazione delle reliquie ma ad approfondire il messaggio di “essenzialità” della vita cristiana.
I monaci – ha ricordato mons. Vaccari – ci insegnano a mettere in pratica il Vangelo e a farne il centro della nostra vita. Il senso del “celebrare” i santi invece deve avere come profondo impegno quello di voler riscoprire quanto abbiano “da insegnare” all’attuale comunità dei credenti.
Il passo del Deuteronomio, da cui era tratta la prima lettura del giorno, ci aiuta a pensare come Dio “è entrato” nella nostra vita e come, attraversando le varie prove che ognuno di noi è chiamato ad affrontare, sia riuscito ad entrarvi anche tramite gli altri. “Passare” attraverso le prove – ha ricordato il vescovo – non è certamente una manifestazione della “cattiveria” di Dio ma è utile a comprendere cosa “ci sia” nel nostro cuore e come il volto di Dio assuma volti e nomi che mai avremo pensato: la misericordia e le forme di volontariato di tanti fratelli e sorelle generosi.

Quindi un richiamo alle parole di San Paolo, nella lettera ai Romani, dove comprendere “la vita nello spirito” serve per capire come una vita difficile, a volte segnata da sofferenza, angoscia o abbandono, sia insita anche “nella creazione”. Ciò che conforta l’uomo è essere “indirizzati ad una promessa”, che il Signore ci ha fatto, nella quale poniamo la nostra speranza.
Questa virtù cristiana, ha sottolineato il vescovo, è come “un’ancora” nella quale si esprime un fondamento che ci tiene saldi, nonostante correnti maligne o venti contrari: anche in quei momenti ci è possibile raggiungere “la santità”, tenendo fisso lo sguardo “su di Lui”, su Gesù.
La vita di ognuno di noi allora deve farsi sempre più simile a quella di un monaco che, a differenza nostra, non cerca di disperdersi tra i disordini del mondo ma mantiene l’attenzione… “vegliate con le vesti cinte ai fianchi e le lampade accese”, ci dice il Signore nel Vangelo… Il monaco infatti lascia il mondo per essere “pronto” ad ogni segno che, nella parola o nell’evento, possa condurre alla grazia divina.
Un monaco è chiamato anche a “fare unità” e relazionarsi con gli altri: su quell’esempio, ognuno di noi, nella propria vita, può “cercare” la santità, vivendo l’amore della propria famiglia e rafforzandosi nel lavoro e nella quotidianità.
Anche Gesù, il Maestro, ha seguito questo itinerario vivendo i primi trent’anni della sua vita lavorando, obbedendo ai genitori e vivendo la semplicità di una cittadina come Nazareth: per un monaco “vivere Nazareth” significa la propria scelta di vita.
Guardare a San Caprasio in questi termini, ha concluso Mons. Vaccari, vuol dire “ascoltare e assimilare” la Parola di Dio, cercando negli eventi della vita come essa “ci venga incontro”, attraverso la speranza e la comprensione, anche nei momenti più sfavorevoli.
Al termine della celebrazione, anche il sindaco di Aulla ha voluto ricordare l’importanza religiosa, storica e culturale che riveste la figura di San Caprasio per tutto il territorio e per i pellegrini della via Francigena.
Fabio Venturini