
Domenica 28 aprile – V di Pasqua
(At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8)
In questa domenica ascoltiamo la settima e ultima immagine con la quale nel vangelo secondo Giovanni Gesù presenta se stesso e la sua missione: “Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore”.
1. Israele, vigna del Signore. Con l’immagine della vite vera Gesù afferma di essere il vero Israele. Attribuisce infatti a se stesso una delle più belle, originali e poetiche definizioni di Israele nel Primo Testamento.
Dice il profeta: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle” (Is 5,1; cfr Mt 21,33-43). Questa immagine è ripresa dalla liturgia del Venerdì Santo nei Lamenti del Signore: “Io ti ho piantato, mia scelta e florida vigna, ma tu mi sei divenuta aspra e amara”.
2. Senza di me non potete far nulla. Il primo e principale impegno di chi lavora nella vigna del Signore è quello di essere conformato all’immagine del Figlio, cioè unito a Gesù, la vera vite.
Non si può essere apostoli se non si vive una vita veramente religiosa a contatto con Gesù, perché l’aiuto ci viene dal Signore e non dalle nostre misere capacità. La dignità del cristiano non risiede nei poveri e transitori insediamenti istituzionali terreni, a cui molti preti e laici sembrano tenere smodatamente, ma in Gesù Cristo risorto.
Tutti ricordiamo le poche parole dette da Benedetto XVI la sera della sua elezione a papa, il 19 aprile 2005: “Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Grazie”.
3. Portiate frutto e diventiate miei discepoli. Papa Benedetto si presentò come lavoratore nella vigna del Signore, disposto a fare quello che la Provvidenza gli chiedeva, fiducioso nell’aiuto di Dio e nella preghiera dei fedeli.
Era consapevole di essere chiamato a svolgere una missione e riconosceva di essere strumento insufficiente. Anche San Paolo scrivendo ai Corinzi paragona il suo lavoro a quello dell’agricoltore: lui ha impiantato la comunità, poi è sopraggiunto Apollo che ha irrigato, ma a nulla sarebbe valsa questa duplice attività se fosse mancata la parte determinante di Dio (1Cor 3,6-9).
I predicatori non sono i veri protagonisti dell’edificazione della comunità, dal momento che non sono in grado di suscitare la fede negli ascoltatori; essi sono solo strumenti di Dio, il quale con l’opera del suo Spirito fa nascere e crescere nella comunità la fede, l’amore, la speranza.
Colui che pianta e colui che irriga svolgono servizi diversi, ma sono collaboratori dell’azione di Dio, e nella misura in cui esercitano la loro missione crescono loro stessi nella fede e nella amicizia con Dio.
† Alberto