Prove di coalizione europea, ma a farne le spese sono i diritti umani

La presidente della Commissione Europea e cinque capi di governo in Egitto per firmare un nuovo memorandum per il controllo dell’immigrazione dalla sponda sud del Mediterraneo

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e il presidente egiziano gen. Abdel Fattah al-Sisi firmano gli accordi del Cairo. (Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Più che un “cambio di passo”, come lo ha definito la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, l’accordo raggiunto dall’Unione Europea con l’Egitto domenica scorsa, 17 marzo, appare in linea di continuità con altri accordi del passato recente tra l’Europa e la sponda sud (o est) del Mediterraneo.
Lo schema è sempre lo stesso: si paga un paese estero per fermare i flussi migratori verso il Vecchio continente. In quali modi opera poi il paese a cui viene “appaltato” l’incarico, non importa: basta voltarsi e non guardare.
L’Italia, con gli accordi con la Libia stipulati da Berlusconi nel 2008 (ratificati dall’intero Parlamento con soli tre voti contrari) e da Gentiloni e Minniti nel 2017 è stata l’apripista di questa prassi replicata dall’Unione Europea con la Turchia nel 2016, negli anni della crisi migratoria e umanitaria siriana, con la Tunisia lo scorso anno, ed ora con l’Egitto.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha offerto al generale Abdel Fattah al-Sisi aiuti per 7,4 miliardi di euro, suddivisi in prestiti e sovvenzioni. Di questi, 200 milioni sono dedicati esplicitamente alla gestione dei flussi di persone migranti. Parallelamente il Fondo Monetario Internazionale sbloccherà 8 miliardi di dollari necessari a sostenere l’economia egiziana.

(Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Ad accompagnare la presidente della Commissione Ue al Cairo erano presenti i capi di governo di Austria, Cipro, Belgio, Grecia e Italia (tutti liberali, popolari o di destra), replicando una prassi al di fuori delle procedure stabilite dai Trattati europei per la ratifica degli accordi internazionali, ma dal chiaro significato politico.
L’iniziativa di von der Leyen è sostenuta da una serie di governi politicamente affini alla coalizione che l’ex ministra tedesca vorrebbe costruire dopo il 9 giugno per governare le istituzioni comunitarie nel prossimo quinquennio: popolari, liberali e conservatori – l’ala atlantista e non antieuropea dell’estrema destra che ha in Meloni la sua leader -, escludendo dalla maggioranza nel Parlamento di Strasburgo l’estrema destra antieuropea e filorussa di Salvini, Orban e Lepen e chiudendo l’esperienza della “grande coalizione” con i socialisti.
Gli assetti politici continentali non sono perciò stati estranei al vertice del Cairo che, data la centralità del tema migratorio nella prossima campagna elettorale europea, è stato per la presidente uscente della Commissione e per i capi di governo presenti – Meloni in particolare – un grande spot preelettorale.
Nel paese governato dal generale al-Sisi, già braccio destro del dittatore Mubarak, al potere a seguito di un golpe militare con cui fu spodestato il governo democraticamente eletto di Mohamed Morsi, ucciso in carcere, sono presenti 9 milioni di rifugiati, arrivati soprattutto da Siria e Sudan, due stati in guerra.

(Foto Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Per la destra europea è fondamentale scongiurare una nuova crisi come quella siriana di 10 anni fa, ed ecco quindi gli aiuti economici, le attrezzature e la formazione allo stato egiziano. Ma l’accordo non fermerà certo le partenze verso l’Europa: le renderà solo più pericolose e mortali.
Come denunciato anche da Amnesty International i controlli migratori egiziani per conto di Bruxelles, in assenza di garanzie per migranti e profughi, provocheranno una spinta ulteriore a fuggire dall’Egitto verso luoghi più sicuri: è il paradosso di una cooperazione non basata sui diritti umani che produce quei fenomeni che poi si vorrebbe delegare ad altri perché non accadano, con la conseguenza che il dittatore di turno si sente legittimato ad alzare il prezzo del proprio servizio, chiedendo più aiuti o più coperture in cambio di uno stop alle partenze, come già accaduto con Libia e Tunisia.

(Foto: pagina FB “Verità per Giulio Regeni”)

Chi si aspettava dalla missione europea in Egitto un’intesa fondata sul rispetto dei diritti umani, coerente con le denunce del Parlamento Europeo in merito al trattamento non conforme agli standard internazionali riservato dall’Egitto ai migranti sul suo territorio (persone trattenute in condizioni crudeli in attesa di decidere il loro destino e rimpatri sommari) è rimasto deluso.
E i dossier sulla morte di Giulio Regeni e sulla detenzione di Patrik Zaki? Il fatto che siano stati trattati da Giorgia Meloni davanti alla stampa in modo vago ed evasivo non soprende: uno spot anti immigrazione val bene un assassinio e una reclusione arbitraria.
Ad al-Sisi, infine, la delegazione europea si è affidata affinchè l’Egitto svolga, come in passato, un ruolo di negoziato con Israele per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza.
Se da un lato è importante che chiunque possieda un potere di influenza lo usi per fermare il massacro dei palestinesi, dall’altro è paradossale che l’Europa chieda ad un paese in cui i diritti umani sono sistematicamente violati – torture, sparizioni forzate, decine di migliaia di prigionieri politici, l’uso costante della pena di morte – di fare qualcosa in favore dei diritti dei palestinesi di Gaza, dopo 5 mesi in cui l’azione diplomatica europea per dare fine alla carneficina di Israele ha oscillato tra la il cinismo e l’inerzia.

(Davide Tondani)