I 40 anni dal  nuovo Concordato: l’Accordo di Villa Madama

Il 18 febbraio 1984 la firma: per la Santa Sede il cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli; per la Repubblica il presidente del Consiglio dei ministri Bettino Craxi

Il card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Sua Santità, e il presidente del Consiglio dei Ministri, Bettino Craxi. (foto da Wikipedia)

Quarant’anni dall’Accordo di Villa Madama. Vale a dire, dal “nuovo” Concordato sottoscritto il 18 febbraio 1984. Sul tavolo della firma le due parti: per la Santa Sede, il cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli; per la Repubblica italiana, il presidente del Consiglio dei ministri Bettino Craxi.
Comune è l’esigenza avvertita: modificare il Concordato siglato oltre cinquanta prima, l’11 febbraio 1929, nel Palazzo del Laterano, in un’altra epoca storica, abbondantemente superata (per fortuna!), in un contesto sociale ed ecclesiale profondamente mutato.

I PATTI LATERANENSI – In pieno regima fascista, i Patti lateranensi pongono fine all’annosa “questione romana”, aperta con l’unificazione d’Italia e, in particolare, con la “presa” di Roma nel 1870, che diviene capitale del Regno nell’anno successivo.
Intanto il Papa si dichiara «prigioniero in Vaticano» e chiede ai cattolici italiani di non partecipare alla vita politica del Paese (il «non expedit»), mentre le leggi italiane sulla regolamentazione del potere spirituale e sull’incameramento dei beni degli enti ecclesiastici rendono ancora più profonda la ferita della separazione.

Il card. Pietro Gasparri e Benito Mussolini posano dopo la firma dei Patti Lateranensi nel febbraio 1929 (foto da Wikipedia)

Cinquantanove anni più tardi, la “conciliazione” tra la Chiesa cattolica e il Regno d’Italia, ancora oggi plasticamente rappresentata dalla maestosa via romana che collega Largo Giovanni XXIII a Piazza di San Pietro, su impulso di Benito Mussolini, definito (incautamente) da Papa Pio XI come l’uomo «che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare».
D’altronde, è davvero tutta “provvidenza” per la Chiesa cattolica: il Trattato istituisce convenzionalmente lo Stato Città del Vaticano, il Concordato disciplina i rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano, la Convenzione finanziaria risarcisce dalla perdita dei territori pontifici e dall’eversione dell’asse ecclesiastico.
Ma la domanda ora si impone: il tutto a che “prezzo”, in termini di relazioni con il regime fascista? È efficace la risposta che propone Pierluigi Consorti nel suo libro “Diritto e religione. Basi e prospettive” (Laterza, 2023): «(…) la Chiesa assecondò la politica totalitaria e molti cattolici non avvertirono il fascismo come un’ideologia contraria alla loro fede. Per parte sua, l’Italia fascista utilizzò al meglio la devozione cattolica piegandola agli interessi del regime».
In effetti, è interessante osservare che i Patti non piacciono a don Luigi Sturzo, il fondatore del Partito Popolare italiano, per il quale la Chiesa rischia di «essere appesantita da questa ipoteca». Alcide De Gasperi, poi, è convinto che la loro firma rappresenti un «gravissimo errore politico» della Santa Sede.

LA COSTITUZIONE ITALIANA – Conclusa la Seconda guerra mondiale, il tema è discusso ampiamente in sede di Assemblea costituente. Alle fine, i Patti sono esplicitamente menzionati nella Costituzione all’articolo 7, anche grazie al voto favorevole del capo del Partito comunista Palmiro Togliatti, preoccupato di preservare la «pace civile» in Italia.
Trovano conferma le parole di Arturo Carlo Jemolo, secondo il quale essi «valgono non per quello che liquidano del passato, bensì per ciò che impegnano del futuro».
L’adattamento dei Patti ai valori democratici è uno degli impegni che si propone la Repubblica, pure come elemento di definitiva discontinuità con il regime fascista. Essi sono così inseriti in un sistema repubblicano che riconosce l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose (articolo 8) e che, al contempo, si ispira al sistema concordatario per regolare i rapporti con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, attraverso lo strumento delle intese (articolo 8, comma 3).
Ma in questo sistema profondamente innovato, l’art. 1 del Trattato ormai “costituzionalizzato” richiama lo Statuto Albertino che riconosce la religione cattolica come religione di Stato. Il cortocircuito è evidente: uno Stato che afferma l’eguale libertà delle confessioni religiose può al contempo fare propria, anche solo formalmente, una scelta confessionista?

Le grandi trasformazioni nella società italiana,
la Costituzione italiana del 1948,
il Concilio ecumenico Vaticano II e
il nuovo Codice di diritto canonico
rendono un giro di boa obbligato dalla storia
la modifica dei “Patti” del 1929

La prima pagina del quotidiano Avvenire all’indomani della firma della revisione dei Patti Lateranensi

L’ACCORDO DI VILLA MADAMA – È chiaro, insomma, che se i Patti impegnano per futuro, quest’ultimo, comunque non può essere ipotecato. Così, le grandi trasformazioni avvenute nella società italiana nonché, da un lato, l’entrata in vigore della Costituzione italiana nel 1948, dall’altro, la celebrazione del Concilio ecumenico Vaticano II, tra il 1963 e il 1965, e il nuovo Codice di diritto canonico del 1983, rendono la modifica del Concordato nel 1984 un giro di boa obbligato dalla storia.
Da un punto di vista normativo, il perimetro entro il quale muoversi è tracciato dallo stesso articolo 7, comma 2, della Costituzione: «Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale» (infatti, l’Accordo di modifica è reso esecutivo nell’ordinamento italiano tramite la legge n. 121 del 1985, di rango ordinario anche se “rinforzata”, cioè con una particolare forza passiva all’abrogazione). Rispetto al Concordato del 1929, il nuovo accordo fa cambiare del tutto pagina alla disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, almeno sul piano sostanziale, a cominciare da una (allora) inedita visione del principio di collaborazione: a norma dell’articolo 1, la Repubblica italiana e la Santa Sede si impegnano nella «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese».
Il testo si presenta, poi, alla stregua di un accordo-quadro: è demandato a successive intese (anche note come “intese di secondo livello”) il compito di definire nel dettaglio materie richiamate solo in via di principio o per le quali si rivelano future esigenze di collaborazione.
Proliferano negli anni, quindi, intese come quelle per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, per la tutela e valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici o, ancora, per l’assistenza religiosa alla Polizia di Stato.
Per questo motivo, considerato che il processo che sembra quasi inarrestabile, Raffaele Coppola parla di un «concordato continuo», dove gioca un ruolo di primo piano la Conferenza Episcopale Italiana, che negli anni acquisisce sempre maggiore autonomia dalla Santa Sede (nonostante il Papa, al vertice della Chiesa universale, sia il vescovo di una delle diocesi italiane: Roma).

Luigi Mariano Guzzo
Docente di Diritto e religione e di
Diritto comparato delle religioni nel
Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa