I quarant’anni dalla sottoscrizione dell’Accordo di Villa Madama rappresentano per davvero un tempo di bilancio.
Una prima costatazione è evidente: come la società italiana del 1984 non era più quella del 1929, la società italiana del 2024 non è più quella del 1984. Istituti quali il matrimonio “concordatario”, il sostentamento del clero, l’insegnamento della religione cattolica, l’assistenza spirituale cattolica nelle Forze armate, negli ospedali o negli istituti penitenziali – solo per fare alcuni esempi – si confrontano con una società sempre più multiculturale, in cui diverse appartenenze religiose convivono insieme alle espressioni della non-credenza (una «convivialità delle differenze», per dirla con le parole di don Tonino Bello).
Certo, non è (solo) responsabilità del Concordato se il nostro ordinamento giuridico fatica a rendere operativo il principio dell’eguale libertà delle confessioni religiose, in particolare per quelle che non hanno ancora raggiunto l’intesa con lo Stato italiano, come l’Islam. Ma non si può neanche omettere che il Concordato, per motivi storici, culturali, sociali e istituzionali, abbia definito, e continui a definire, una certa posizione di favore della Chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni religiose presenti in Italia.
A prescindere dai contenuti, rispetto ai quali il “nuovo” Accordo può sembrare ormai “vecchio”, se di attualità si può parlare per il Concordato, essa risiede proprio nel valore e nel significato del “dialogo” tra istituzionali statali e comunità religiose.
Il proliferare di radicalizzazioni fondamentaliste in Occidente mette in guardia dalle espressioni di rigido separatismo. Da questo punto di vista, il sistema concordatario ha il merito di aver contribuito a delineare quella laicità “all’italiana”, che si caratterizza per un interesse positivo delle istituzioni statali nei confronti del fenomeno religioso, a livello sia di libertà religiosa collettiva che di libertà religiosa individuale.
Solo tre giorni dopo la sottoscrizione dell’Accordo di Villa Madama, il 21 febbraio 1984 viene firmata l’intesa tra lo Stato italiano e la Tavola valdese, e si apre, in tal modo, la “stagione delle intese” che, tra alti e bassi, ancora ai nostri giorni non può ritenersi conclusa.
Il dialogo concordatario diventa, più in generale, modello di dialogo bilaterale. Finanche, con il Trattato di Lisbona (2007) le chiese e le organizzazioni filosofiche non-confessionali sono riconosciute come soggetti interlocutori dell’Unione Europea, per un dialogo aperto e costruttivo.
Il problema è che il dialogo rimane ancorato ad una dimensione che Consorti definisce come “verticale”, riferibile ai vertici delle istituzioni (politiche e religiose), senza tenere in debita considerazione le esigenze spirituali, i sentimenti religiosi, i valori dei fedeli, della base, in un’ottica “orizzontale”.
Oggi in Italia, mentre è avvertita da più parti l’esigenza di una legge generale sulla libertà religiosa (anche perché è ancora in vigore la legge sui culti ammessi, di fascista memoria), l’esperienza dei Protocolli sanitari per la ripresa delle celebrazioni religiose, nel pieno della pandemia da Covid-19, ha messo in luce come gli interessi spirituali delle comunità di fede e degli individui nelle società multiculturali trovino opportuna garanzia dall’instaurazione di forme di dialogo “multilaterale”, tra le stesse confessioni religiose e tra le confessioni religiose e lo Stato.
Il dialogo “religioso” incide direttamente sul piano dei rapporti con la comunità politica. E non è questione di riflettere su “grandi” argomenti, bensì di trovare la quadra sugli aspetti più concreti ed essenziali che incidono la vita delle persone. In questa direzione il sistema concordatario non potrà che essere innovato.
È una sfida che non può che coinvolgere anche la Chiesa cattolica nel suo (continuare a) relazionarsi con lo Stato italiano.
(L. M. G.)