Domenica 17 settembre – XXIV del tempo ordinario
(Sir 27,30;28,1-7; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35)
La serietà del nostro comportamento nella comunità cristiana non si limita ai buoni consigli e neppure alla correzione fraterna di cui abbiamo parlato domenica scorsa. La vita dentro la comunità esige la reciproca accettazione con il perdono dei peccati, sull’esempio di Dio Padre che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi.
1. Fino a sette volte? L’eredità che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli è il comandamento dell’amore; la regola di comportamento non è l’osservanza di una legge, ma seguire l’esempio di una persona: “Amatevi come io vi ho amato. Da questo conosceranno che siete miei discepoli”.
Pertanto noi cristiani tutti, clero e laici, siamo ministri e testimoni di riconciliazione e di misericordia, misericordia ricevuta e da trasmettere, misericordia che è più grande dei cieli e che viene manifestata quando una comunità, piena di spirito evangelico, si apre all’accoglienza dei lontani e alla accettazione dei vicini.
Amare non significa solo dedicarsi interamente con una generosità completa ad attività in favore del prossimo; prima di tutto è necessario fare opera di intelligenza e chiedersi, con amore e con profondo di rispetto degli uomini nostri fratelli, qual è il miglior bene che noi possiamo offrire loro, certamente nella prospettiva temporale, ma senza trascurare la dimensione spirituale.
2. Il padrone ebbe compassione. Il vero umanesimo parte dal presupposto che l’uomo non è un essere perfetto, ma riconosce la fragilità della natura umana che può diventare grandezza quando si apre al dialogo e all’incontro con Dio.
Fragilità umana e santità sono inseparabili e non sono delimitate una volta per sempre, ma convivono nel cuore di ogni uomo finché vive su questa terra.
La via alla santità del vero discepolo di Cristo non si limita a fare la conta dei peccati, ma è contrassegnata dalla ricezione dell’amore di Dio e dalla sua trasmissione verso il prossimo.
3. Non dovevi anche tu aver pietà? Gli uomini sono destinatari della misericordia di Dio; ma la misericordia di Dio mira a trasformare l’uomo, affinché anche lui diventi misericordioso. Misericordia ricevuta e misericordia da rendere non sono due cose separate, ma inscindibilmente unite.
Il cristiano deve comportarsi come Dio si è comportato con lui, e fare agli altri ciò che Dio ha fatto a lui. Da Dio ha ricevuto senza alcun merito: nel regno della grazia domina soltanto una legge, l’amore ricevuto da Dio e la fede salvifica nella sua misericordia.
Sarà capace di libertà completa soltanto colui per il quale la misericordia e l’amore diventano i criteri esclusivi di comportamento: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
L’esercizio della misericordia e della reciproca accettazione si pratica in un cammino continuo mai completato su questa terra, perché l’ideale è giungere a essere “perfetti come il Padre celeste”.
† Alberto