Intervista a mons. Mario Vaccari in occasione dell’anniversario del suo ingresso in diocesi
Un anno fa, domenica 22 maggio, fra’ Mario Vaccari veniva consacrato quarto vescovo della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli e prendeva possesso della diocesi iniziando il suo ministero episcopale nella terra apuana. Come il vescovo Mario sottolinea, un anno pur essendo stato utile non è tuttavia sufficiente per conoscere tutte le realtà della diocesi, ma è emersa una delle criticità più evidenti: quella legata alle diverse caratteristiche del territorio diocesano.
“Le diversità rimangono – spiega fra’ Mario – perché è chiaro che la situazione che si vive in Costa non è uguale a quella del paesino o dei borghi più grandi della Lunigiana. L’importante, però, è che le diverse realtà possano mettersi in una relazione reciproca dove ciascuna porta le proprie ricchezze, assieme alle criticità. In questo scambio ci si arricchisce, si condivide senza chiusure, preconcetti o, peggio ancora, pregiudizi. Il mio lavoro è e sarà quello di mettere in dialogo le diversità, qualora intraveda delle difficoltà oppure dei ritorni nostalgici al passato: solo da una relazione tra le diversità può nascere l’unità, che non è uniformità, ma valorizza le peculiarità. Chi è disponibile ad un atteggiamento di dialogo e di relazione, acquisisce tanto in termini di ricchezza nella fede”.
La predominanza in Lunigiana delle piccole parrocchie pone problemi di sostegno alla vita di fede di chi vive in quelle realtà?
“In queste situazioni il lavoro del sacerdote è senza dubbio faticoso, perché ha più comunità di cui è responsabile, non solo per garantire le celebrazioni ma per svolgere tutta una serie di servizi. Credo che questo tema vada affrontato nell’ambito del progetto delle Unità pastorali, non tanto unendo le parrocchie, ma creando sia una squadra di laici che si occupino della pastorale, sia individuando dei piccoli gruppi di persone che non solo hanno cura della chiesa e degli edifici sacri, ma sappiano animare le comunità dal punto di vista della preghiera, anche in modo molto semplice: mi riferisco alla recita del Rosario, oppure alla Liturgia delle Ore, agli incontri di lectio divina per ascoltare insieme quello che il Signore ci vuole dire. L’evangelizzazione passa anche da questo stile molto semplice, che però ha alla base la condivisione delle persone, il creare comunità, senza aspettarsi che sia il parroco a disporre tutto”.
L’esperienza da poco avviata a Pontremoli si sta confermando come modello da adattare a tutta la realtà diocesana?
“Direi proprio di sì. Si tratta infatti di un modello da seguire, ovviamente adattandolo in base alle singole esigenze dei territori. Due sono gli elementi che mi sento di sottolineare. Il primo è il fatto che i parroci abbiamo cominciato a dialogare tra di loro, condividendo la pastorale di una zona, senza più considerarsi come all’interno di una specie di ‘feudo’ dove c’è uno solo che comanda. Il secondo aspetto è la possibilità di condividere la responsabilità pastorale con i laici che hanno questa vocazione, perché non tutti sono chiamati ad essere coadiutori della pastorale”.
Il coinvolgimento dei laici nella gestione delle parrocchie non sembra, per ora, aver fatto passi avanti significativi: si può fare di più?
“Da una parte c’è un po’ un impedimento dimostrato dai sacerdoti che sono stati formati secondo un modello preciso di parrocchia che oggi non può più funzionare: essi devono fare lo sforzo di aprirsi ad un nuovo modo, ritrovando il senso profondo del presbiterio, che è quello di essere a servizio del sacerdozio comune dei fedeli. Dall’altra parte, i laici non sono stati formati secondo un senso di responsabilità, così non ci sono molte forme di programmazione e progettazione pastorale che partano dal loro protagonismo. Le cose cambieranno se, da una parte, i sacerdoti ‘rinunceranno’ un po’ al loro ‘potere’ e, dall’altra, i laici saranno stimolati da una formazione adeguata”.
Spostandosi un po’ in tutta la Lunigiana ha colto segnali della volontà di non restare fermi ad una fede che si limiti a forme di devozione che non sembrano più in grado di favorire la partecipazione al di sotto di certe fasce di età?
“Ci sono delle ‘perle preziose’ e dei ‘piccoli germogli’” in varie parti, che vanno prima di tutto riconosciuti dalla comunità cristiana e vanno custoditi e alimentati. In fin dei conti, la missione della Chiesa è sempre partita da un piccolo segno, dalla povertà, proprio perché è Gesù che attraverso il suo percorso di morte e resurrezione indica questa via. Non c’è più una Chiesa che si conforma con la società civile, e la presenza delle devozioni del passato certamente non è da escludere ma, come dice la migliore tradizione ecclesiale dell’et…et, va condotta una pastorale che tenga conto dei piccoli germogli che stanno nascendo”.
Antonio Ricci