
Dal 28 al 30 aprile si è svolto in Ungheria il 41° viaggio apostolico del Santo Padre

Tre giorni intensi quelli che hanno scandito gli incontri di Francesco in terra magiara, dove il suo 41° viaggio apostolico ha avuto come tema centrale il sostegno alla causa della pace e l’invio all’Europa a fare di tutto per favorire il raggiungimento di quell’obiettivo.
I discorsi pronunciati di fronte alle diverse componenti della realtà politica, sociale e religiosa hanno esposto concetti che, in un Paese caratterizzato da forti sentimenti nazionalisti, hanno offerto spunti di riflessione non scontati.
Alle autorità, Francesco ha ricordato tre caratteristiche di Budapest. “Città di santi”, che ha conosciuto invasioni di tempi lontani ma anche violenze e oppressioni provocate dalle dittature nazista e comunista. Trovando difficoltà il dialogo tra le Nazioni, si è tornati a lasciar ruggire i nazionalismi, a esasperare giudizi e toni nei confronti degli altri. Ma la pace può venire solo da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti.

“Città di ponti”, che favoriscono il contatto. Afferma la Costituzione ungherese: “Riteniamo che la nostra cultura nazionale sia un ricco contributo alla multicolore unità europea”. “Città di santi”, con s. Stefano, primo re d’Ungheria, che raccomandava al figlio sant’Emerico “di essere gentile non solo verso la tua famiglia e parentela ma anche con gli stranieri… Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove”.
Alle difficoltà dei tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, occorre far fronte senza scuse e indugi, ricercando vie sicure e legali, per far fronte a una sfida epocale. Incontrando vescovi, sacerdoti e religiosi, li ha messi in guardia contro due “tentazioni”: da una parte la lettura catastrofista della storia presente di chi ripete che tutto è perduto, dall’altra la lettura ingenua del proprio tempo, il prevalere del conformismo.

Tutto ciò porta una comunità cristiana a irrigidirsi, a chiudersi, ad assumere un atteggiamento da “combattenti”. Il Vangelo ci dona occhi nuovi per entrare nel nostro tempo con un atteggiamento accogliente.
Sull’impegno nei confronti dei poveri, il Papa si è detto grato alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, specie nell’accoglienza ai tanti profughi provenienti dall’Ucraina. Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare. Solo così possiamo arrivare a capire quanto siamo bisognosi dello sguardo e della mano del Signore.
Ai giovani ha indicato due passaggi fondamentali per essere vincitori nella vita. “Puntare in alto”, sfruttando i talenti che tutti abbiamo. “Allenarsi”, mettendosi in dialogo con Gesù, che è il miglior allenatore possibile perché sa tirar fuori il meglio da ognuno di noi. Facendo squadra, non giocando da soli.

Nell’omelia della messa conclusiva celebrata nella piazza Kossuth Lajos, a Budapest, ha ricordato che la porta aperta di cui parla Gesù nel Vangelo serve, come tutte le porte, oltre che per entrare, anche per uscire. È Gesù stesso, quindi, che ci spinge – tutti, nessuno escluso – ad uscire incontro ai fratelli. Fa star male vedere le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà, verso chi è straniero, diverso, migrante, povero.
Lo stesso vale per le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi “non è in regola”, chiuse verso chi anela al perdono di Dio. A tutti coloro che sono impegnati nella pastorale, il Papa ha raccomandato di essere porte aperte.
Al Regina Coeli, ha affidato alla Magna Domina Hungarorum tutti gli ungheresi; ha pregato per il vicino martoriato popolo ucraino e per il popolo russo, a lei consacrati. A lei, come Regina della Pace, ha chiesto di infondere “nei cuori degli uomini e dei responsabili delle Nazioni il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri”.
L’ultimo incontro Francesco lo ha riservato al mondo universitario e della cultura. Ha messo in guardia contro la logica del “si può fare dunque è lecito” e contro l’idea dell’individuo centrato sui propri bisogni, avido di guadagnare e vorace di afferrare la realtà.
L’Ungheria, come tanti altri Paesi, è esposta al rischio di cedere ad una falsa idea di libertà. Dopo aver provato il comunismo, dove la “libertà” era decisa da qualcun altro, ora sembra orientata ad arrendersi al consumismo, che delinea una “libertà” libertina, edonista, che rende schiavi delle cose.
Passerebbe, in tal modo, da una libertà frenata a una libertà senza freni. Gesù invece offre una via d’uscita, dicendo che è vero ciò che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure.