La tragedia in mare di domenica scorsa ha riproposto il drammatico problema dei soccorsi in mare.
Il card. Zuppi: “Le vittime sono di tutti e le sentiamo nostre”
“Una profonda tristezza e un acuto dolore attraversano il Paese per l’ennesimo naufragio avvenuto sulle nostre coste. Le vittime sono di tutti e le sentiamo nostre”. Lo ha dichiarato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, in merito al naufragio avvenuto domenica scorsa davanti alle coste calabresi di Cutro (Crotone).
E aggiunge: “Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità… Occorrono scelte e politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con la consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe”.
Mentre scriviamo, continua la ricerca dei dispersi: sono già più di 60 i cadaveri recuperati in mare, tra cui quelli di numerosi bambini e di un neonato. Scarso conforto è dato dall’arresto dei possibili scafisti. Neppure l’Italia deve essere lasciata sola ad affrontare una questione migratoria che non accenna a diminuire, anzi.
Oggi tutti si strappano le vesti ed esprimono cordoglio. Fino a ieri, tuttavia, ha regnato il silenzio, interrotto soltanto dal nefasto decreto anti Ong del nostro governo, che tenta di rendere quasi impossibili i salvataggi in mare da parte delle Ong, che di fatto raccolgono soltanto una piccola parte di naufraghi.
Eppure, lo scorso 14 febbraio si sono registrati 18 morti e 55 dispersi davanti alle coste libiche, mentre il 24 sono stati 22 i morti sempre in Libia. Il teatrino dei talkshow non se n’è accorto perché erano morti lontani e non interessavano. Eppure essi fanno parte dello stesso esercito di cercatori di un mondo diverso, come quelli naufragati nei pressi di Crotone. Queste sono solo le ultime vittime di una catena di morte ormai insostenibile.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) tiene il conto delle vittime dal 2014. L’osservazione prende in considerazione tre rotte: Mediterraneo Centrale, che collega Libia e Tunisia all’Italia; Mediterraneo Occidentale, che collega Algeria e Marocco con Francia e Spagna; Mediterrano Orientale, che collega la Turchia con l’Italia attraverso l’Egeo.
La prima è la più letale di tutte: oltre 17mila tra morti e dispersi dal 2014, senza dimenticare che molti naufragi restano ‘invisibili’ e perciò non possono essere inseriti in quelle statistiche. Il dato è dunque sottostimato. Alla rotta occidentale sono attribuiti 2.300 morti, mentre 1.700 sono valutati in quella orientale.
Proprio dalla Turchia, da Smirne, era partito il barcone affondato domenica sulle coste della Calabria. E da quell’area proviene circa il 20% degli arrivi in Italia. Nel 2022 le vittime del mare, conosciute, erano state 2.406, nel 2023, in soli due mesi, sono già 225. Malgrado tutto, si fa strada la teoria, condivisa da molti esponenti del Governo in carica, che gli assetti di salvataggio in mare, quindi le navi Ong, costituiscano un fattore di attrazione per i migranti che puntano all’Europa.
Quindi si pensa che non debbano partire o addirittura, come dice il ministro Piantedosi – che aveva già definito i profughi raccolti in mare “carico residuale” -, si sostiene che “la disperazione non può mai giustificate condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Il vocabolario Treccani dice che la disperazione è “lo stato d’animo di chi non ha più alcuna speranza”. Di certo il ministro ne ha solo sentito parlare perché quando un padre o una madre vivono in un inferno e prendono la decisione di affrontare il mare, sapendo di mettere a repentaglio la propria vita e quella dei figli, non lo fanno con superficialità.
Si scappa da un inferno certo e senza via d’uscita per andare verso una destinazione ignota e spesso ostile ma è sempre meglio di nulla. Per questo è necessario un supplemento di umanità che è richiesto, certo, al nostro Paese. Ma l’Italia non deve essere lasciata sola ad affrontare una questione migratoria che non accenna a diminuire, anzi; anche l’Europa deve decidersi a definire politiche coraggiose e ispirate alla generosità. Per il momento, invece, a Bruxelles su questi argomenti si fanno solo chiacchiere.
Giovanni Barbieri