L’uomo, grazie alla tecnologia, potrà adattarsi. Ma altre specie rischiano l’estinzione
Il verificarsi di fenomeni climatici estremi in aree geografiche inconsuete occupa sempre di più le cronache legate all’attualità. “L’alternanza di siccità, temperature elevate e freddo, con le sue naturali variazioni si è verificata anche nel passato”, spiega al Sir Giacomo Alessandro Gerosa, ordinario di Fisica dell’atmosfera e incaricato di Ecologia alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università Cattolica, sede di Brescia. “Quello che si sta osservando – continua – è l’aumento della frequenza di questi eventi: negli ultimi vent’anni abbiamo avuto le temperature più alte di sempre, il maggior numero di anni con temperature più alte, il numero maggiore di eventi siccitosi”.
Purtroppo per noi, stanno trovando conferma le previsioni offerte dai modelli matematici messi a punto dagli studiosi, cioè la possibilità di un vero e proprio cambiamento climatico. Stando nel nostro Paese, Gerosa ricorda che “la zona alpina e pre-alpina, ha sempre sofferto la siccità in inverno”, quando la pioggia è sostituita dalla neve.
Oggi, però, la mancanza di pioggia “si accompagna a una riduzione della copertura nevosa e dei ghiacciai, che è la vera riserva d’acqua per l’agricoltura padana”, che “ha sempre potuto godere di un’agricoltura intensiva avendo a disposizione l’acqua che veniva rilasciata dai ghiacciai esattamente quando serviva, cioè d’estate”. Ora, “iniziamo a vedere che anche in questo contesto in estate l’acqua inizia a scarseggiare”, proprio per la riduzione di quei serbatoi naturali. Dal punto di vista dell’impatto economico, giova ricordare, inoltre, che la mancanza di neve ha un forte influsso negativo sul turismo invernale.
La “colpa” della riduzione dei ghiacciai è da addebitare all’effetto del riscaldamento globale, spiega il professore, “che sulle Alpi sta procedendo molto più velocemente che a livello planetario, dove la temperatura si è elevata di 1,2 grado a partire dall’epoca preindustriale. Sulle Alpi questo valore è il doppio e nelle zone artiche almeno il triplo”. Ne consegue che “per i ghiacciai delle Alpi la scomparsa totale è prevista entro la fine del secolo, secondo qualcuno addirittura entro il 2070”.
La causa è da individuarsi nelle emissioni di anidride carbonica legata all’uso di combustibili fossili; la CO2 non è una sostanza tossica ma ha la capacità di sbilanciare l’equilibrio energetico planetario. Lo sforzo deve quindi essere posto nel cercare di produrre energia con emissioni zero di CO2 o comunque che siano emissioni di CO2 che era già stata rimossa dall’atmosfera, come quella che si genera usando la legna, rimossa in precedenza dalle piante.
Gli studi effettuati in Antartide ci dicono che, da quando c’è l’uomo, la temperatura globale non è mai oscillata oltre a più o meno due gradi, mentre la CO2 si è sempre mantenuta tra i 100 e i 200 ppm (parti per milione). Negli ultimi 150 anni, invece, la CO2 è raddoppiata, arrivando ai 420 ppm di oggi. Un nuovo equilibrio si raggiungerà in 70-100 anni per la sola atmosfera, in mille-duemila anni per gli oceani, più lenti nei cambiamenti.
“Certamente, conclude Gerosa, non avremo più il mondo come lo abbiamo adesso”. Cambieranno le zone più o meno adatte alle colture e questo porterà a nuove ondate migratorie; i fenomeni metereologici saranno più estremi; ci saranno periodi siccitosi molto lunghi, alluvioni, una maggiore frequenza di uragani. Dovremo adattarci a nuove situazioni e questo richiederà dei costi. La tecnologia l’abbiamo ma la genetica non risponde così velocemente; per l’evoluzione delle altre specie, quindi, i rischi ci sono.
Comunità energetiche in attesa della normativa per poter partire
“Quello delle comunità energetiche è diventato un progetto della Chiesa italiana. Sono un’opportunità a livello pastorale ma anche per la partecipazione della Chiesa e dei cristiani alla transizione energetica”. Così il professor Sebastiano Nerozzi, segretario del Comitato delle Settimane sociali, fa con il Sir il punto sulle comunità energetiche: gruppi di persone che si uniscono per autoprodurre energia elettrica da fonti rinnovabili e fornire benefici ambientali, economici e sociali nei territori. Il cammino è iniziato nell’ottobre del 2021 a Taranto in occasione della 49.ma Settimana sociale, ma l’iter del dl governativo emesso poco dopo si è rivelato molto più lungo del previsto e non è ancora concluso.
Nel frattempo, la chiamata a realizzare comunità energetiche è stata accolta da tante Chiese locali, come confermato dall’indagine realizzata lo scorso ottobre tra i referenti per la Pastorale sociale e del lavoro e gli economi di 220 diocesi, che ha messo in evidenza una grande attenzione verso l’argomento. In certi casi si sono fatti passi concreti: alcune diocesi – come Cremona e Verona – hanno già ricevuto finanziamenti per avviare sperimentazioni in strutture assistenziali o parrocchie.
In attesa dei chiarimenti normativi, si possono avviare cammini di formazione e di discernimento per capire che tipo di comunità energetica costituire, raccogliere l’adesione dei cittadini e individuare dei partner. Per evitare di andare in ordine sparso, a ottobre in Cei è partito un Tavolo tecnico. Le comunità energetiche sono una delle nuove forme di partecipazione sociale che consentono, agendo a livello locale, di incidere sui grandi processi che riguardano il pianeta. Un tema che oggi più che mai richiede cura, ascolto e capacità generativa.