Domenica 26 marzo – V di Quaresima
(Ez 37,12-14; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45)
L’episodio della risurrezione di Lazzaro letto nel contesto della preparazione alla Pasqua ci rimanda al potere che ha Gesù di dare una vita diversa sulla terra con il sacramento del battesimo e una vita nuova dopo la morte. Le due sorelle, Marta e Maria, pongono domande ma si fidano di Gesù, e compiono un cammino che è di esempio per la nostra maturazione nella fede.
1. Signore, colui che tu ami è malato. Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro: questa amicizia è fuori dagli schemi istituzionali, perché non sembra che questi tre personaggi siano implicati nel ministero pubblico di Gesù, e il gruppo dei Dodici non è menzionato in questo avvenimento. Il pianto di Gesù rivela in lui un vincolo di particolare amicizia che lo lega a Marta e a Maria, e che poi continua anche verso i discepoli ai quali dice: “Non vi chiamo più servi, ma amici”. Non solo: Gesù è anche l’amico di altri che non hanno un volto, è l’amico dei pubblicani e dei peccatori. Anche Giuda viene chiamato “amico” da Gesù. Chiamando amici i suoi discepoli, ha introdotto una dimensione nuova nella relazione tra maestro e discepoli, superando la tradizionale distanza tra chi insegna e guida e coloro che apprendono e seguono. Quando Gesù ha voluto esprimere il vertice dell’amore ha detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Quello che ha detto, lo ha anche fatto, e si è rivelato come il Dio amico degli uomini. Gesù dona il proprio cuore e desidera ricevere il cuore degli altri.
2. Signore, se tu fossi stato qui. Questa osservazione, ripetuta sia da Marta, sia da Maria, ha il sapore di un rimprovero confidenziale ed è anche una professione di fede. Pur facendo l’esperienza del dolore, le due sorelle sono convinte che Gesù le ama e che resta vicino a loro. Abitualmente Marta sorella di Lazzaro viene rappresentata come dedita a occupazioni materiali, ma in questo caso è lei che si preoccupa di far incontrare Gesù con la sorella: “Marta andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: il Maestro è qui e ti chiama”.
3. Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio. Come la Samaritana, come il cieco guarito, anche Marta risponde a Gesù di credere, pur non comprendendo forse tutta la realtà messianica. Crede perché si fida della persona di Gesù, perché è convinta che lui vuole bene alla sua famiglia e che quindi si prenderà cura di lei e di sua sorella. L’atteggiamento di Marta è una fede che resiste nelle situazioni critiche, non è una visione, è una fiducia. Infatti il cuore di Dio non si penetra con i ragionamenti ma con l’esperienza dell’amore, e l’atto di fede non è un calcolo della ragione, ma un sentimento che nasce dal cuore. Anche Giobbe nelle sue disgrazie non perde la fede e dichiara: “Io so che il mio redentore è vivo. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (Gb 19,25.27).
† Alberto