Referendum: una pura esercitazione formale?
Il 12 giugno gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi su cinque referendum abrogativi in materia di giustizia. Come sempre, la consultazione sarà valida se parteciperà la metà più uno degli aventi diritto.
Il primo quesito propone di abrogare la “legge Severino” che, in caso di condanna per certi reati, prevede automaticamente l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza, dal Parlamento europeo fino ai consigli comunali e circoscrizionali. 
Il secondo propone di eliminare la reiterazione del reato dai casi in cui si possono comminare misure cautelari (in carcere o secondo altre modalità) a una persona gravemente indiziata.
Terzo è il quesito che si propone di  azzerare la possibilità che un pubblico ministero possa diventare giudice e viceversa. Attualmente il passaggio è possibile quattro volte. 
Il quarto vuole abrogare la non partecipazione alle decisioni da parte dai “membri laici” del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei i Consigli giudiziari territoriali, che possono dare indicazioni al Csm sul percorso professionale e sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. 
Il quinto referendum propone di abrogare il requisito di almeno 25 firme (fino a un massimo di 50) per la presentazione delle candidature dei magistrati al Csm.
Sull’uso dell’istituto del referendum abrogativo molto si è detto in passato. Su quello del prossimo 12 giugno pesa certo il dibattito sulla opportunità di usare uno strumento che porta a nuove regole semplicemente togliendo alcune parti alle vecchie. Argomento che assume un particolare rilievo quando si tratta del sistema giudiziario, a proposito del quale sono anni che la politica dibatte per nuove regole organiche capaci di dare un senso ai cambiamenti che sarebbero introdotti. Il risultato è che ancora una volta la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, in discussione al Parlamento (la Camera ha approvato, il Senato non è lontano dal voto finale), è stata trascinata fin qui nonostante la consapevolezza dell’appuntamento referendario.
Dall’altra parte, c’è l’ambiguità della Lega (promotrice del referendum assieme ai Radicali) che come partito di governo (non si sa quanto né fino a quando) dovrebbe essere impegnata a far procedere spedita la riforma di cui sopra, mentre come “battitore libero”, se non come oppositore occasionale, Salvini gioca a scavalcare l’esecutivo e a proporre soluzioni non condivise dalla maggioranza. Un’ambiguità che non gioca a favore della compattezza governativa né dell’immagine di quel partito, oggi forse più impegnato a trovare il modo per togliere il nome del segretario dal simbolo che a sostenerlo in una campagna che nessuno, nemmeno i sostenitori, ha più voglia di portare avanti. Anche perché appare ormai chiaro che molto difficilmente il quorum richiesto potrà essere raggiunto e, nei referendum, questo è già catalogabile alla voce ‘sconfitta’.                 (a.r.)