
Il turno si è chiuso con il Centrodestra che vince al primo turno a Genova, L’Aquila e Palermo. Il Pd sbanca Lodi, in piena “zona Lega”. Cresce FdI, male il M5S

Si scrive amministrative ma si pronuncia politiche. Una cosa assai strana per la nostra lingua che, in regola generale “si legge come si scrive”. Un’ulteriore segno dello strapotere della lingua inglese? Niente di tutto questo: sono solo le stranezze e le contorsioni della politica italiana a creare certi malintesi.
Nel corso della campagna elettorale in vista delle elezioni di domenica scorsa, data l’evidenza del fatto che pochi erano i comuni di un certo “peso” coinvolti, la maggior parte dei protagonisti, se non tutti, si era spesa per dare un peso limitato ai risultati che sarebbero usciti dalle urne. Poi, quasi all’improvviso, a partire da lunedì pomeriggio, con l’arrivo dei primi risultati, il solito cambiamento di rotta che, come in una specie di domino, si è trasmesso di coalizione in coalizione e tra i vari partiti. Conta poco il fatto che luoghi ben definiti (i vari comuni coinvolti, a partire da quelli più grandi), abitati da persone ben precise, abbiano scelto la continuità o la rottura con il recente passato; quello che importa è se ha vinto il centrodestra o il centrosinistra, se certi leader potranno resistere alle critiche degli avversari interni, se le alleanze sono destinate a durare o si squaglieranno al sole dell’estate.
Bocciati i cinque referendum: i votanti sono il 20,9%.
Quorum troppo lontanoNon era difficile prevederlo, ma il risultato negativo dei referendum sulla Giustizia promossi da Lega e Radicali è andato oltre ogni più negativa previsione. Per la loro validità avrebbe dovuto votare il 50% degli elettori più uno; alla fine, invece, l’affluenza è stata del 20,9%, con massimi in Liguria (28%) e minimi nel sud ma anche in Trentino (13%).
E non c’è stato neppure il tanto sperato “effetto traino” delle elezioni comunali per il quale il leader della Lega, Salvini, aveva voluto accorpare il voto in una giornata unica. Basta guardare i dati, anche di città tradizionalmente favorevoli alla Lega: a Verona il 58,8% ha votato per sindaco e consiglio comunale mente per i referendum ha accettato le schede solo il 49,6%; idem alla Spezia: il 55,3% al voto per le amministrative e il 45% per i referendum; stessi risultati a Parma dove il 53,6% degli elettori hanno votato per le comunali e il 45,8% per i referendum; meglio (si fa per dire) a L’Aquila dove con il 59% i referendum hanno superato il quorum, ma alle comunali i votanti sono stati quasi il 68%; a Taranto il 58,5% ha votato alle amministrative e solo il 48.9 ha accettato di votare per i referendum.
Nessun “effetto traino”, ma pesanti conseguenze politiche: si sono intuite già tra domenica e lunedì quando sono state diffuse le percentuali che hanno decretato il “disastro” della campagna referendaria. Così si torna a parlare di leadership in quel centrodestra ad oggi favorito per le elezioni politiche del prossimo anno, ma anche di resa dei conti dentro la Lega, per lunghi mesi sia forza di Governo che di opposizione. E Salvini soffre il sorpasso di Giorgia Meloni al Nord: si annunciano mesi ancor più difficili per l’esecutivo Draghi.
Stiamo per un attimo al gioco e mettiamo insieme qualche dato significativo. A Genova, L’Aquila e Palermo i candidati del centrodestra vincono senza bisogno dei ballottaggi. Rispettivamente, Marco Bucci confermato con il 55% dei voti; così pure Pierluigi Biondi (54,3%); nuovo è, invece Roberto Lagalla (49%). Per i ballottaggi, a Catanzaro dovrebbe vincere il centrodestra di Valerio Donato (43,8%) contro Nicola Fiorita (31,8%); a Parma dovrebbe prevalere Michele Guerra (44,2%) sul sindaco uscente di centrodestra Pietro Vignali (21,3%). Caso a parte è Verona, dove l’ex calciatore Damiano Tommasi (centrosinistra) è in testa (40%) e dovrà vedersela con il sindaco uscente Federico Sboarina (32%); decisivo sarà il pacchetto di voti del sindaco “storico” di centrodestra Flavio Tosi (23,8%).
Clamoroso il risultato di Lodi, in piena “zona Lega”, dove Andrea Furegato (centrosinistra), con il 59% dei voti in pratica ha “asfaltato” Sara Casanova, sindaco uscente, sostenuta (?) da tutti i patiti di centrodestra.
Volendo sintetizzare, si può dire che i risultati positivi ottenuti dal centrodestra sono tutti da ascrivere alla crescita di Fratelli d’Italia, mentre la Lega si conferma in grande difficoltà. Nel centrosinistra tiene il Pd, ma pesa in negativo il netto calo dei 5 Stelle. Data la presenza di tre galli (non se ne abbia la Meloni), nello schieramento di centrodestra le dichiarazioni sono ancora ispirate alla prudenza e alla correttezza. Giorgia Meloni non esagera nell’esultanza e si limita ad invitare Lega e Forza Italia a lasciare il governo. Salvini, da parte sua, continua con il ritornello del centrodestra che “vince solo unito” e, per la scelta del leader, afferma che “lo decideranno gli italiani alle prossime elezioni politiche”.
Nel centrosinistra Enrico Letta parla di un “Pd primo in Italia”; vede il “campo largo” da lui teorizzato non troppo lontano dal raggiungere gli avversari e può pensare di averci messo tanto del suo per arrivare a questo risultato. Per gli alleati del M5s, Conte dichiara che “i dati che emergono non possono soddisfarci ma non cerchiamo giustificazioni”. Poi ricorda che “le amministrative sono sempre tabù per noi” e prova a riprendere il refrain per il quale “i risultati delle amministrative non avranno conseguenze a livello nazionale”.
La domanda di fondo, però, resta quella che valeva prima della tornata elettorale: quelle attualmente sulla scena politica italiana sono vere coalizioni o solo alleanze elettorali destinate a svanire a fronte di una legge elettorale orientata al proporzionale?
a.r.