Abraham Yehoshua, grande scrittore e operatore di pace

Israeliano, è morto a Tel Aviv a 85 anni. Una vita dedicata alla letteratura mai disgiunta all’impegno per trovare una soluzione alla questione dello stato palestinese

La “barriera”, vero e proprio muro di separazione eretto da Israele in Cisgiordania; è lungo più di 700 chilometri

Con Abraham Yehoshua si è spenta una grande voce della letteratura israeliana mai disgiunta dall’impegno a trovare la via del negoziato nell’incancrenita questione di fare della nazione palestinese uno Stato con un suo territorio ben definito. A Tel Aviv il 14 giugno è morto a 85 anni, era nato a Gerusalemme nel 1936 da famiglia di ebrei sefarditi, quelli che erano stati espulsi dalla Spagna nel 1492.
Nasce in una famiglia di intellettuali: il padre uno storico, la moglie psicanalista, morta nel 2016 dopo più di 50 anni di matrimonio; ha atteso la morte con serenità verso se stesso ma con molta preoccupazione per il futuro di Israele. Docente esterno nelle Università di Chicago, Princeton e poi ad Haifa, tornato nel suo paese dopo “la guerra dei sei giorni”. La prima opera pubblicata è La morte del vecchio del 1963: Yehoshua domanda a se stesso e al lettore quale sia il senso dell’esistere e del morire, quel leopardiano “estremo scolorir del sembiante”. I problemi dell’identità e dell’appartenenza sono una costante presenza nella narrativa della modernità. La parola letteraria ha il potere di esprimere ciò che per altre vie è incomprensibile, ma è reale.

Abraham Yehoshua (1936 – 2022)

La parola per Abraham Yehoshua sa ricostruire le relazioni all’interno della famiglia, tra gli amici, stringe solidi rapporti tra padri e figli, ha la potenza di risolvere la guerra tra popoli, se davvero vogliono fare la pace. La sua parola letteraria la sente sempre come “sovversiva”, capace di cambiare le cose. Affronta la questione fondamentale dell’irrisolta definizione dei rapporti tra israeliani e palestinesi e sempre sostiene la pace e tiene viva la memoria, sa precisare concetti, sa confortare la tristezza e l’ironia dell’anima ebraica. Molte le sue opere di narrativa, saggi, drammi.
Un capolavoro è L’amante, tradotto in 22 lingue, narra la tragica condizione dell’umanità che non riesce a vincere la seduzione della violenza e sempre crea muri di silenzio e di incomprensione tra mondi e culture. Altri capolavori sono Il signor Man, il saggio Elogio della normalità, Un divorzio tardivo, Viaggio alla fine del millennio, Fuoco amico, La scena perduta, Il tunnel, romanzo sul declino mentale, un limite che la vecchiaia può portare con sé, va accettato con la rassegnazione all’inevitabile: è la storia di un vecchio ingegnere ma è anche il racconto della situazione sociale e politica del popolo palestinese e israeliano.
Yehoshua è stato molto legato all’Italia, dove ha fatto molti viaggi e l’ultimo suo libro La figlia unica del 2021 è ambientato in Italia, una scelta per riconoscenza al libro Cuore di De Amicis che il padre gli leggeva quando era piccolo. La protagonista Rachele Luzzato fa domande spiazzanti negli anni decisivi della sua formazione in una famiglia di ricchi ebrei non praticanti intrecciata con nonni cattolici o travestiti da preti per sfuggire alle persecuzioni. Le viene proposto di recitare la parte di Maria in un Presepe vivente, il padre si oppone: insorgono le domande di sempre sul mistero di chi siamo e a chi apparteniamo. Più volte candidato al Nobel; ha ricevuto molti premi in Italia: Grinzane Cavour, Flaiano, Viareggio alla carriera, Friuli-Venezia Giulia, Feltrinelli assegnato dall’Accademia dei Lincei.
Nel 2003 ha avuto il Premio internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa per l‘opera La sposa liberata, ambientata negli anni 1998-’99, quando ci furono buone speranze di pace tra ebrei e palestinesi: un professore è aiutato dagli arabi a risolvere un problema di suo figlio: quando a vincere è l’amore!

Maria Luisa Simoncelli