Domenica 1 maggio – III di Pasqua
(At 5,27-32.40-41 – Ap 5,11-14 – Gv 21,1-19)
Quando sarai vecchio, dice il Risorto a Pietro, quando cioè sarai saggio, arrivato e maturo, solo allora smetterai di lanciare reti e moltiplicare attività e ubriacarti di appuntamenti, solo allora saprai fare l’unica cosa che rende buona la vita: “tendere le mani”, chiedere aiuto. Questo il nostro specifico. Altro che attivismo. Giovanni 21 chiede il martirio e martirio non è decidere di morire eroicamente per un ideale ma lasciare che la vita si svuoti e ci afferri e ci porti dove non vogliamo. Relitti portati a riva, passività d’amore. Altro che “amare le periferie” il Vangelo ci chiede di diventare periferia. Altro che amare il silenzio, Giovanni ci chiede di esserlo.
Tendere le mani e chiedere aiuto, come il bambino illuminato dalla Cometa in quel Natale di duemila anni fa. Come il cadavere del Maestro abbandonato, peso morto, dal legno della croce. Non siamo chiamati ad altro. Questa è la sua Parola, questa è la Parola incarnata.
Portare l’Essenziale è reggere questo peso, portare l’essenziale è fare un passo indietro, è capire di non essere indispensabili, è uscire dai giochi di forza della politica, è abbandonare le carriere, i sistemi, le vanità, è non condannare nessuno, è scusarsi, con gli occhi gonfi, è salutare, è togliersi la veste e allungare le braccia, è sentire il cuore che piange: “chi mi aiuterà?”
Le nostre Comunità rinasceranno dopo che avranno perso tutto. Il giorno che sapranno dire al mondo “Mi puoi aiutare?”. È quello che Giovanni 21 racconta moltiplicando indizi. Il primo, un’alba: “quando era già l’alba…” e noi lo sappiamo, se c’è una cosa che non possiamo decidere noi quello è il sorgere del sole. Lui sorge, anche senza di noi. A noi è affidato il compito di accorgercene, di tendere le mani verso il mistero luminoso e di lasciarci rivestire di luce. La nostra testimonianza? Riconoscere la forza delle albe. Passività d’amore. E poi quel Gesù che “stette sulla riva”, a ricordarci che tutti i nostri sforzi per pacificare il mondo sono inutili e patetici, siamo una barca in mezzo al mare, la terra promessa sarà, ma non è qui, non ora. Diabolici i tentativi di credere alla perfezione, alla pace completa, all’equilibrio interiore o esteriore. Siamo barche in mezzo al mare, abbiamo paura, siamo instabili e fragili, la nostra chiesa sarà sempre così, nessuna possibilità di purezza, di perfezione. Il nostro cuore è così, siamo barche in mezzo al mare. Ma possiamo tendere le mani verso la riva, perché lui ci chiama. Come immagino il testimone credibile? Un naufrago che vede la riva, che vede sulla riva una Promessa di eredità.
don Alessandro Deho’