
L’ Ave Maria, con le sue parole semplici, ci pone davanti allo sguardo l’immagine di Maria di Nazaret (la Vergine dell’Annunciazione) e della Madre del Signore ad Ain Karim. Le due scene, rese vive dall’arte pittorica, mettono in evidenza alcuni aspetti dell’Ave Maria: il rispetto dell’Angelo, la pienezza di grazia di Maria, la sua umiltà, l’attesa della risposta, l’importanza del suo ‘sì’. Le immagini che ritraggono Maria si moltiplicarono nei luoghi di culto, nelle case, nei luoghi pubblici: nacquero le scuole per preparare le icone, prima benedette, poi contestate, poi riammesse con la distinzione tra immagini sacre e immagini d’arte senza il sigillo della sacralità.
Ci chiediamo: le antiche icone della “TheotòKos” (Madre di Dio), della “Orante”, della “Odigitria” (Colei che indica la via), della “Panaghghia” (Tutta Santa), della “Brephocratissa” (Madre di Dio della Tenerezza), della “Basilissa” (Regina seduta in trono), che dall’Oriente si riversarono nella Chiesa latina, così come le nostre rappresentazioni di Maria nelle catacombe, nei mosaici delle basiliche, nei quadri devozionali, nelle stupende opere d’arte, giovano all’Ave Maria?
Aiutano a ripetere con gioia il saluto e a chiedere con fiducia alla Piena di Grazia? In altre parole: fanno pregare? Servono a far incontrare Maria o distraggono, fermando l’attenzione alla bellezza dell’immagine o al pensiero dell’artista?
L’Ave Maria, con tutta la serie di immagini richiamate dalle parole, non ha di per sé bisogno di altre raffigurazioni per essere capita o vissuta. È vero, però, che l’immagine può creare l’ambiente, facilitare la preghiera, essere segno e simbolo che rende più facile l’incontro con la realtà che è Maria. Le vere icone sono voce di fratelli che hanno pregato dipingendo la propria fede e che sollecitano altri a pregare con loro, dopo di loro.
La stessa cosa vale per la poesia, la musica: l’ambiente, i suoni, le espressioni artistiche attraggono e parlano, emozionano e sollevano. Per questo la Chiesa ha difeso e ammesso l’arte nel culto. Ma non è sempre così: c’è un’arte che impedisce di pregare invece di essere di aiuto; qualche volta l’artista può “dire” senza credere, seguire la propria fantasia e non cogliere la realtà. Proviamo a pensare a molti degli edifici di culto moderni o contemporanei, fatti di solo cemento, assomiglianti più a garage che a luoghi di preghiera, progettati da architetti che non hanno alcun legame con il sacro.
Don Francesco Sordi