Di Giuseppe Silvestri
Proprio allo scadere dell’anno dantesco a Lerici è stata collocata la statua marmorea di Dante per lasciare un segno del suo passaggio nel “golfo dei poeti” . Il castello incombe alto e possente, strappato ai pisani dai genovesi, ha fascino, Petrarca ritenne la sua torre la più bella di tutte. Dalle parole del terzo canto del Purgatorio si deduce che Dante rimase molto impressionato dalle ripide falesie della costa lericina e prende tutta l’ardita arcata della Liguria come termine di confronto con la ripidezza della montagna del Purgatorio.
Tra Lerici e Turbia nell’odierno principato di Monaco la roccia più scoscesa è un’agevole scala a confronto della verticale montagna dove le anime si purificano prima di diventare degne di salire all’empireo paradisiaco.
Noi divenimmo intanto a piè del monte:
quivi trovammo la roccia sì erta,
che ‘ndarno vi sarìen le gambe pronte.Tra Lerice e Turba la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
La statua è opera di Giuseppe Silvestri docente di arti figurative al Liceo artistico “Felice Palma” di Massa. Dante è raffigurato in posizione dinamica, guarda verso il castello e verso l’ovest e tiene in mano il libro della Commedia. Il donatore è Attilio Bencaster di Demetra Italia, leader nel mondo del marmo e mecenate di Lerici: “Questo è il Dante di Lerici, che è stato qui e ha scritto della nostra terra“ e da qui passò in Lunigiana.
Nella cerimonia inaugurale il prof. Francesco De Nicola ha spiegato tutto il canto III, che narra l’incontro con Manfredi di Svevia, biondo, bello e di gentile aspetto, ma con una ferita che gli spaccava il ciglio. Loda la misericordia di Dio che perdona e salva anche chi ha compiuto orribili peccati. Manfredi è inquieto contro il vescovo di Cosenza che gli negò sepoltura nel campo santo perché era stato scomunicato, ignorando le grandi braccia di Dio che accolgono sempre chi si pente, anche nel momento estremo. (m.l.s.)
