Un’abbazia millenaria che racconta la storia di Aulla e della Lunigiana

Venti anni di scavi, ricerche e scoperte in San Caprasio nel volume curato da Riccardo Boggi ed Enrico Giannichedda

Partiamo dalla fine, da quelle conclusioni “quasi un promemoria per chi vorrà visitare l’abbazia e il suo museo” come le definiscono Riccardo Boggi ed Enrico Giannichedda, curatori del volume, Archeologia in un’abbazia millenaria. San Caprasio di Aulla, che si candida ad essere tra le più importanti pubblicazioni relative al nostro territorio (e non solo) negli ultimi anni. Si tratta infatti del libro che ripercorre i venti anni di ricerche nella chiesa aullese affacciata sulla Magra e che hanno illuminato la nostra conoscenza del Medioevo lunigianese.
Editore “All’insegna del Giglio” di Firenze, inserito nella collana dei Quaderni dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale, il volume (290 pagine, 40 euro) è una vera e propria “summa”, una “guida” al complesso di San Caprasio dal taglio enciclopedico, attraverso la quale si possono soddisfare interessi culturali e curiosità sulla storia dell’Abbazia, sulle vicende legate agli scavi, sui protagonisti di un’avventura per molti aspetti entusiasmante. Tutto era iniziato con gli eventi dell’anno 2000, quando la rimozione degli intonaci scrostati nella parte esterna dell’abside maggiore aveva svelato le differenti fasi costruttive: in basso monofore tamponate, in alto nicchie a fornice che avevano suscitato tanta curiosità e speranza di futuri sviluppi. Da allora tanti veli stesi dal tempo sono stati rimossi in quella che è diventata la realtà più studiata del territorio e anche quella che ha regalato le scoperte più significative, magari confermando tradizioni e racconti quasi leggendari tramandati dagli aullesi per generazioni.
Una fondazione, quella dell’Abbazia di Aulla, che risale ad epoche remote, forse anche precedenti a quella testimonianza dell’884 da parte di Adalberto I, marchese di Toscana e che ha caratterizzato la vita di quel centro nato alla confluenza tra la Magra e l’Aulella. I risultati delle indagini all’interno del perimetro del complesso abbaziale hanno fornito preziose indicazioni anche sulle origini dell’abitato. Un luogo che si ipotizza potesse essere frequentato già nel VII secolo a.C., ma certo ben più evidente è lo sviluppo dell’area a partire dall’epoca bizantina, precedente di oltre due secoli la Aulla di Adalberto.
Una torre? Un castello? Un recinto murario con fossato e ponte levatoio? Interrogativi che, forse, potranno essere sciolti in futuro, perché se l’appetito vien mangiando dopo venti anni di importanti ritrovamenti da quelle parti non intendono certo fermarsi!
Un viaggio nel tempo, dal contesto incerto e dai contorni nebulosi inquell’alto medioevo quando qui sostavano i pellegrini diretti a Roma o a Santiago de Compostela, alle ristrutturazioni dei primi secoli del secondo millennio, con l’arrivo di quei “maestri” del nord, abili artigiani capaci di creare architetture e opere d’arte con la pietra locale. Il piacentino Oberto Ferlendi non fu certo l’unico artista all’opera nel chiostro, ma i suoi capitelli sono lì, nel Museo, a sorprendere ogni giorno nuovi visitatori e moderni viandanti.
Dei ritrovamenti in San Caprasio, delle nuove ipotesi sulla storia di Aulla, delle tante persone che dal 2000 ad oggi hanno offerto il proprio contributo, spesso gratuito, alla conoscenza abbiamo scritto puntualmente di volta in volta. Il volume di Boggi e Giannichedda consente ora a tutti di approfondire ciascun aspetto in una forma chiara e lineare.
Limitiamoci dunque a citare, ancora una volta, quell’invisibile filo rosso che ha legato molti secoli di storia: San Caprasio, quel santo francese le cui reliquie arrivarono ad Aulla così tanti secoli fa da essere rimaste avvolte dal mistero quasi a diventare mito. E che invece l’Abbazia ha restituito. Una storia nella storia, ma la più importante. Se l’intitolazione dell’abbazia di Aulla al monaco di Lérins, vissuto nel V secolo, è citata “solo” nel 1077 ora sappiamo che già tra IX e X secolo la chiesa aullese venne ricostruita, ancora ad una sola navata ma più ampia, e sotto l’altare della nuova chiesa trovò adeguata collocazione la cassetta di legno con i resti del santo che, tuttavia, dovevano essere arrivati ad Aulla tempo prima, così da soddisfare la disposizione di Adalberto secondo la quale l’Abbazia fosse dotata di reliquie. Così preziose da essere seppellite in un sarcofago in modo tanto accurato da sembrare “quasi non recuperabile”.
Il resto è una storia lunga secoli che porta ai giorni nostri, con quella bomba, tra le tante sganciate su Aulla dagli aerei alleati, precipitata a pochi centimetri dal santo e rimasta inesplosa.

Paolo Bissoli