Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di sterminio di Auschwitz. Dal 2005 in questa data si celebra il Giorno della Memoria delle vittime dell’Olocausto
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria istituito da legge del Parlamento per ricordare le leggi razziali, le persecuzioni naziste e italiane di cittadini ebrei, gli italiani deportati, gli internati militari, gli oppositori politici, chi subì la morte e coloro che si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della loro vita, hanno salvato e protetto i perseguitati (art.1). La data scelta è quella della liberazione dei superstiti del campo della morte di Auschwitz da parte dei sovietici, il 27 gennaio 1945. Il dovere della memoria è prima di tutto morale per difendere la democrazia e per fare una riflessione molto attuale sul male e sugli orrori del passato di cui si sentono inquietanti tentativi di ripeterli nel presente.
Nella prefazione al libro Necropoli di Boris Pahor, scrittore sloveno superstite allo sterminio, Claudio Magris, noto e acuto scrittore, ricorda che, tornando da vivo nella città dei morti, Pahor si inquietò vedendo che le strutture del campo di sterminio venivano manovrate, voleva “l’intangibilità della dannazione”, il male doveva mantenersi testimoniato da quelle assi marcite delle baracche dove prigioniero aveva vissuto.
“Teme che il tempo, l’oblio scolorino la dannazione, appannino l’assolutezza facendola quasi rientrare nel divenire della natura” e pertanto vorrebbe che le cicatrici dell’orrore rimanessero indelebili. “Noi eravamo immersi in una totalità apocalittica, nella dimensione del nulla” e la condizione storica era diventata “squallore cosmico, vuoto assoluto” Pahor affronta come Primo Levi il tortuoso incubo di chi si sente in colpa per essere sopravissuto.
Quando visita il magazzino dei morti e vede le tenaglie con cui venivano portati via pensa all’amico vicino di casa che non è tornato e capisce la distanza tra la propria sopravvivenza e la sua morte, quasi che l’essere ancora vivo fosse infedeltà, non essere più uno di loro. Pahor assume su di sé quella colpa tenendo in ogni istante presente la vita vissuta nel campo e afferma libertà di giudizio e speranza. Vuole che il male assoluto dello sterminio rimanga vivo nel pensiero e nei sentimenti, per non addomesticare l’orrore e assuefarsi ad esso. Il Giorno della Memoria, se rende più consapevoli, è segno che non si è stati contagiati dal male, che non è andato perso l’impegno di essere fedeli alla vita.
Un libro che trasmette la memoria ed elabora le ferite ad essa connesse è Il profumo di mio padre di Emanuele Fiano (Piemme, 2021), il figlio tenta il passaggio di consegne di una memoria preziosa da trasmettere indelebile e raccontarla a chi non può credere, spariti i testimoni, che tutto quell’orrore c’è stato davvero. Tra Nedo il padre superstite e il figlio c’è un rapporto di silenzi, odori e mistero, una tenerezza reciproca, la scoperta del senso autentico da dare alla vita.
Nel libro c’è tanta forza evocatrice della tragedia degli scomparsi, del dolore dei vivi. I racconti di chi ha patito danno l’intelligenza di superare le nostre quotidiane esperienze e danno l’energia per andare avanti. “Noi figli dei sopravissuti alle camere a gas non siamo normali – scrive Fiano – non abbiamo ascoltato solo parole dolci e tenere dai nostri padri, non solo favole ci è capitato di ascoltare, ma il silenzio impastato di lacrime e urla”. Nell’emergenza sfibrante della pandemia si sono sentite equiparazioni frutto di ignoranza e stupidità: il green pass paragonato al marchio dei deportati, le restrizioni anticontagio paragonate al carcere nei lager, la Shoah equiparata alle foibe (il 10 febbraio il Giorno del Ricordo).
Una fu sterminio programmato con strutture ben organizzate, un genocidio di circa 2/3 degli ebrei in Europa ritenuti di razza inferiore e sterminati per non contaminare la purezza della razza ariana. Le brutali foibe furono provocate da odio razziale generato da contingenze storiche e politiche di breve durata senza le blasfeme teorie razziste.
Maria Luisa Simoncelli