Giovanni Verga, il grande del Verismo italiano

Nel centenario della morte. In una prima fase scrisse romanzi di mediocre qualità di temi e di tecniche

Giovanni Verga (1840 – 1922)

Un secolo fa di questi giorni, il 27 gennaio 1922, moriva a Catania Giovanni Verga il più grande dei tanti scrittori del Verismo italiano. Maturò una clamorosa conversione letteraria quando lasciò la natia Catania per trasferirsi a Firenze e a Milano dove erano vivaci e feconde le discussioni tra seguaci dei naturalisti francesi, gli “Scapigliati”, i tardoromantici. Verga passò ad una narrativa che aveva una differenza profondissima con i romanzi pubblicati un decennio prima. Siamo al 1874, l’anno che con la novella Nedda avvia la stagione dei grandi noti romanzi e novelle del “ciclo dei vinti”.
Il Verga degli esordi letterari e giornalistici produce una letteratura cosiddetta “mondana”, conforme ad un gusto abbastanza diffuso di letteratura di intrattenimento in cui il pubblico borghese sente rappresentate le sue esperienze e aspirazioni. Il primo romanzo è Sulle lagune, è una storia d’amore e patria: un ufficiale ungherese si innamora di Giulia figlia di un patriota veneziano in carcere, ci sarà il lieto fine. Retorica romantica patriottica è pure ne I carbonari della montagna, che intreccia in quattro volumi traditori e oscuri eroi, fughe e rapimenti, patetico l’agire del protagonista Corrado, che morirà senza aver realizzato la libertà politica e l’amore. Romanzi di passioni amorose travolgenti, vissute in mezzo a contrasti e conflitti, personaggi femminili, in cui si intrecciano bellezza, bizzarria, lussuria, una società gaudente, vita di teatro, duelli rivelano suggestioni dai romanzi d’appendice francesi allora in voga. In ordine cronologico si tratta di Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre reale, Eros.
Il tema caro alla letteratura romantica delle monacazioni forzate muove Storia di una capinera. Maria, educanda destinata al convento (in metafora sarà “capinera” vestita di bianco e nero, i colori dell’uccello) si innamora di un giovane, il quale invece sposerà la sorellastra e lei morirà pazza. Lo scavo psicologico rimane poco incisivo. Nella prima parte Maria è una creatura istintiva, innamorata della natura, che comprende in tutta la sua bellezza quando con la famiglia vi si trasferisce durante un’epidemia di colera; contrapposta è la fosca vita chiusa nel convento e nella città. La narrazione verghiana si abbandona a leziose descrizioni campestri oppure a descrizioni scheletriche, scene crude e desolate, intrecci improbabili. La protagonista è la tipica vittima della matrigna, della cattiveria, della debolezza, insomma di un destino inappellabile. Il Verga della “prima maniera”non ha solo le differenze abissali di visione della vita delle grandi opere veriste, la sua “conversione” riguarda anche le tecniche narrative e stilistiche, spesso artificiose, l’uso eccessivo delle interiezioni che suonano di falso, uno stile che punta sull’enfasi, la ricerca di effetti, i toni vistosi, le tinte forti; è l’opposto della narrazione oggettiva, scientifica, impersonale realizzata poi nei capolavori delle novelle e nei romanzi veristi.
Una peccatrice ci porta nel mondo raffinato e salottiero in cui donne “fatali” sempre bellissime ed eleganti sono agitate da passioni tormentose. La protagonista Narcisa Valdesi prima respinge l’amore di Pietro Brusio poi si innamora appassionatamente di lui una volta che è diventato celebre, tutto declina in pietose menzogne di lui ridotto a campare facendo il poeta d’occasione nei caffè di provincia e lei suicida.
Anche Tigre reale, Eros sono romanzi che narrano di amori sempre “ardenti e impetuosi”, di sentimenti retorici e goffi, di donne affascinanti e egoiste secondo un consumato clichè, alle quali si contrappone “ il limpido sguardo della vergine”. Con Eva Verga traccia un profilo di donna intimamente contraddittoria tra respingere l’amato e subito dopo cercarlo e di nuovo abbandonarlo quando non è più l’attore teatrale di successo.

M.L.S.