Domenica 21 novembre – Cristo Re
(Dn 7,13-14 – Ap 1,5-8 – Gv 18,33b-37)
È un re che fa paura Gesù, perché nella sua figura anticipa la fine di tutti i re. Di tutti gli acclamati salvatori che la folla si sceglie di epoca in epoca. È un re che fa paura Gesù perché è l’emblema perfetto della fine del potere: polsi legati stretti, un tradimento alle spalle, la vendetta dei nemici e l’abbandono dei cortigiani. Tutto da copione: così finisce il potente. Pilato guarda quest’illuso negli occhi e chiede probabilmente con annoiato disprezzo: “sei tu il re dei Giudei?”. Quella domanda rimbomba tra le pareti del palazzo e, ancora più rumorosamente, nel fondo dell’anima: domanda spinosa, domanda che sente rivolta anche a se stesso. Chi è il vero re di questa terra impossibile da addomesticare? Fallisce il potere religioso con questo improbabile messia e, contemporaneamente, fallisce il potere politico che si sta facendo manipolare dai giochi di potere di una religione antica e crudele. Due re usati e abbandonati, forse per un attimo Pilato spera di trovare conforto sulla sponda della stessa solitudine. Due potenti si guardano negli occhi, Pilato forse cerca appigli di complicità… poi cede e cerca molto più razionalmente il ruggito definitivo, la zampata vincente per vincere anche questa battaglia e spingere un poco più in là la fine di un sogno di gloria che sperava diverso.
È che poi le parole fanno il loro dovere. Sono donne misteriose le parole, sirene affascinanti e ambigue, terre misteriose, nei loro suoni l’ambiguità sospesa di epifania e mistero. Contemporaneamente. Nascondono e svelano, sanno di essere indispensabili per narrare la vita e per trovarne un senso e allora giocano, e confondono. Come quando Pilato pronuncia la parola “Re”. Quella parola danza nel suo cuore un mondo di ricordi, di attese e di sapori, un mondo fatto di potere, ordine e consenso. Da quella parola, “re”, emerge decisione e potenza, lusso e ammirazione. E i sogni di un bambino che ha lottato per essere onorato. Anche Gesù scende nel mondo affascinante delle parole e anche lui sceglie lo stesso identico suono di Pilato: pensa e si definisce “re”. Ma in lui le parole danzano un’altra musica: in lui si aprono profumi di responsabilità, fraternità, profezia. In lui il re è colui che serve e che ha a cuore anche l’ultimo dei suoi sudditi. In lui unica legge è l’amore e il grande deve farsi piccolo. Non basta usare le stesse parole. Occorre abitare le stesse storie. La verità è una storia condivisa.
don Alessandro Deho’