
A Pontremoli interessanti riflessioni alla presentazione del libro del prof. Volpi
Il debito pubblico: un macigno che si fa ogni anno più pesante e che grava sul nostro presente e, soprattutto, sul futuro del nostro Paese. In questi mesi di pandemia ha avuto un’accelerazione impressionante, schizzando al 160% del Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza che l’Italia produce ogni anno. Certo non siamo soli: è un problema planetario visto che tutto il mondo si deve confrontare con una montagna di debito pubblico che, si calcola, è cinque volte superiore alla ricchezza prodotta. Se il problema è ben noto, esistono soluzioni? Se ne è parlato sabato pomeriggio a Pontremoli nell’incontro organizzato dalla locale sezione dell’ANPI e dall’Istituto Storico della Resistenza Apuana con il prof. Alessandro Volpi, docente all’Università di Pisa e che, con il collega Leonida Tedoldi (Università di Bergamo), al tema ha dedicato un libro (Storia del debito pubblico in Italia dall’Unità a oggi, Laterza 2021).
Con Volpi hanno dialogato Davide Tondani e Mario Pegollo, in quello che è risultato un confronto utile a capire meglio le dinamiche che stanno alla base di un fenomeno (quello del debito pubblico) dalle tante sfaccettature e dalle grandi conseguenze sulla vita di tutti noi e che al termine dell’incontro è sembrato essere molto più chiaro. Nel corso delle sue interlocuzioni con i presenti il prof. Volpi ha proposto anche la sua risposta all’interrogativo, cioè se il problema del debito pubblico abbia o meno una soluzione.
Sì, una soluzione c’è; o almeno ci sarebbe se solo si volesse imboccare una strada che altre realtà percorrono da lungo tempo. Partendo dal presupposto che nessun debito del 160% del PIL è rimborsabile, Volpi propone che una parte di questo venga monetizzato; dunque no all’azzeramento di parte di esso – scelta che potrebbe spaventare i mercati in quanto lascerebbe intendere che il debito non sia sostenibile dallo Stato – e procedere piuttosto alla stampa di moneta per “acquistarne” una parte.
Naturalmente nel nostro caso il problema deve essere posto a livello europeo e il soggetto deputato alla operazione sarebbe la Banca Centrale Europea. Ma è un’operazione fattibile? Secondo Volpi assolutamente sì: le condizioni ci sono tutte, compresa un’inflazione che da lungo tempo è in pratica pari a zero. Anche condizioni politiche sembrano poter essere favorevoli, e poi c’è sempre l’esempio di Paesi come gli Stati Uniti che una tale politica l’hanno adottata più volte per sostenere la propria economia.
Naturalmente il libro di Volpi e Tedoldi è molto più di questo: è un viaggio straordinario lungo più di un secolo e mezzo di storia del nostro Paese a partire da quell’Unità d’Italia che vide il nuovo Regno farsi carico dei debiti degli stati preunitari. Un Paese povero che nel 1861 partì con un debito pubblico subito molto pesante ma anche con la necessità di compiere grandi investimenti in primis per le opere pubbliche. La crescita economica dell’Italia e le grandi rimesse che i milioni di emigranti italiani riversarono dall’estero garantirono la sostenibilità del debito.
Se alla fine della Prima Guerra Mondiale il debito era al 160%, più o meno come oggi, il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta fece respirare il nostro Paese, fino alla crisi del 1973 con l’esplosione della inflazione e l’avvio di un nuovo percorso di crescita del debito pubblico italiano. Con il “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro tutto il debito italiano viene messo sul mercato, l’inflazione si riduce ma crescono i tassi d’interesse e il debito passa dal 60% al 100% del PIL in poco più di un decennio. E continua a salire e condiziona non solo l’economia ma anche la politica e mette a rischio la stessa sovranità nazionale. L’euro, creato per fare concorrenza al dollaro, può essere lo strumento per raffreddare il debito, ma – a giudizio di Volpi – serve coraggio e volontà di avviare una stagione nuova, di politiche espansive e non di annunciare – come fatto in questi mesi -che dal 2023 dovranno tornare manovre finanziarie di contenimento che inevitabilmente finirebbero per “strozzare” l’economia. L’Europa lo ha già fatto nel passato recente con la Grecia!
E sul tavolo c’è anche il tema dell’enorme quantità di risparmio privato degli italiani, fermo e improduttivo sui conti correnti bancari: 1.800 miliardi di euro. Il 70% è di cittadini che potrebbero essere disposti ad investire in nuovi titoli di stato: il successo recente dei BTP Italia sembra dimostrarlo. (p. biss.)