L’emergenza climatica è causata da attività umane. Urgente uno sforzo mondiale

Il rapporto dell’IPCC denuncia: la responsabile è l’attività umana

Scienza e politica sono concordi: i cambiamenti climatici sono inequivocabilmente causati da attività umane, che hanno riscaldato il clima ad un ritmo senza precedenti negli ultimi 2000 anni. A dirlo è l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, al quale contribuisce il lavoro di migliaia di ricercatori provenienti da tutto il mondo e i cui rapporti, per essere resi pubblici, devono essere approvati dai delegati dei governi dei 195 Paesi che fanno parte dell’organismo internazionale.
Nell’ultimo rapporto, pubblicato lo scorso 9 agosto, l’IPCC ha fornito dati eloquenti sul cambiamento climatico. Gli aumenti osservati nelle concentrazioni di gas serra dal 1750 circa sono opera dell’uomo. La temperatura superficiale globale nel periodo 2001-2020 è stata di 0,99°C superiore a quella del periodo 1850-1900, ed è stata più alta di 1,09°C nel periodo 2011-2020 rispetto al periodo 1850-1900. Le precipitazioni globali medie sulla terraferma sono aumentate dal 1950, e più rapidamente a partire dagli anni ’80.
L’influenza umana è la causa principale del ritiro dei ghiacciai a livello globale dagli anni ’90; da allora la diminuzione del ghiaccio nel mese di settembre ha raggiunto circa il 40%. Inoltre, le attività umane hanno contribuito alla diminuzione della copertura nevosa primaverile dell’emisfero settentrionale dal 1950 e allo scioglimento superficiale osservato della calotta glaciale della Groenlandia negli ultimi due decenni. Lo strato superficiale dell’oceano si è riscaldato a partire dagli anni ’70; il livello medio del mare globale è aumentato di 3,7 mm per anno dal 2006 al 2018, contro gli 0,20 mm tra il 1901 e il 2018.
Il Rapporto offre tuttavia anche qualche speranza, asserendo che la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera potrebbe invertire il trend del surriscaldamento climatico, con primi parziali risultati osservabili in pochi anni ed altri per i quali saranno necessari decenni, se non addirittura secoli. È quindi ancora possibile fermare i cambiamenti climatici e la catastrofe che si abbatterà sulle generazioni future che abiteranno il Pianeta, ma serve uno sforzo enorme e una collaborazione senza precedenti tra gli Stati, che al momento è difficile da prevedere, con Stati in forte ascesa economica (la Cina per esempio) irremovibili sui loro programmi di impiego del carbone, altri che usano le tematiche ambientali come merce di scambio sul terreno diplomatico, fino ad arrivare ai Paesi a sviluppo economico maturo che, pur manifestando la maggior sensibilità sui temi ecologici, fanno di tutto per prendersi impegni meno gravosi e più dilazionati nel tempo.
È il caso dell’Italia. Solo due anni fa, sull’onda delle manifestazioni studentesche innescate da Greta Thunberg, l’emergenza climatica faceva promettere una transizione ecologica che si è ridotta a pochi provvedimenti, ben presto ridimensionati, come la tassa sulla plastica.
Con il nuovo governo la transizione ecologica pare essersi ridotta al nuovo nome di un ministero, il cui titolare – il fisico Roberto Cingolani, un passato nei c.d.a. di grandi realtà industriali italiane – brilla più per le continue dichiarazioni sui preoccupanti costi economici e occupazionali che si abbatteranno sul sistema economico che per l’indicare nuove rotte in grado di creare un’economia sostenibile.
Il Recovery Fund doveva essere la grande opportunità per tentare il balzo a un sistema produttivo ecocompatibile, ma meno di un terzo dei 191,5 miliardi del PNRR andranno alla transizione ecologica: una delle quote più basse in Europa.
Nel frattempo i boschi bruciano e in molte aree del Paese siamo all’anno zero persino su pratiche di base come il ciclo dei rifiuti: sono le uniche tematiche ecologiche ad entrare nei titoli di tg e giornali (spesso per alimentare l’eterno conflitto tra partiti) mentre il dibattito ecologico di più ampio respiro e la sensibilizzazione sull’opinione pubblica sono ridotte a spazi angusti, soffocati da luoghi comuni e sottili negazionismi.

(Davide Tondani)