Domenica 11 luglio – XV del tempo ordinario
(Am 7,12-15 – Ef 1,3-14 – Mc 6,7-13)
Gesù chiama a sé i Dodici, e poi li manda. Senza niente. Leggeri e liberi. Senza niente, poetici e fragili. Senza niente. Se non un inizio di fraternità (due a due) che diventa testimonianza e richiesta. Testimonianza che la solitudine è disumana e richiesta di ospitalità.
Questa leggerezza, questa fragile poesia dell’essenzialità rende i Dodici capaci di avere… potere sugli spiriti impuri… come a dire che il male si aggrappa sempre alla forza, al potere e alla violenza per fare male, come a dire che il male lo sconfiggi svuotandoti in profondità. Liberi come l’aria e l’aria non puoi afferrarla… entra e esce a portare vita… povera e preziosa… essere come l’aria (lo Spirito) è l’unica risposta credibile al male. Ordinò loro di non prendere nulla per il viaggio. È un ordine, non è un consiglio. È condizione essenziale, insieme a quella del viaggio. Camminare leggeri, ecco il comandamento del Vangelo. Che la vita sia un viaggio leggero, chiunque veda i discepoli possa stupirsi della totale povertà e della testimonianza della qualità delle loro relazioni. Un Vangelo che profuma di vento e di sole e di pioggia. Un Vangelo che profuma di “inizi”, di libertà, di idealità. Un Vangelo senza strutture e sovrastrutture, essenziale e puro, luminoso e inafferrabile. Un sogno, affascinante e pericoloso, radicale e profetico.
Testo affascinante e pericoloso. Facile da trasformare in sogno utopico. Facile da usare per denunciare l’imborghesimento della chiesa e prenderne le distanze. Oppure testo da ascoltare ma da non prendere troppo sul serio… e tenersi ben stretti asili e oratori, case parrocchiali e case del parroco e chiese e… pagina difficile questa. Come gustare in profondità la tensione che il Vangelo ci consegna? Come non ridurre tutto in fughe utopiche o in ciniche letture della realtà? Come sempre avviene credo che la verità dimori nell’essenza profonda delle cose. E la verità innanzitutto chiede di comprendere cosa sia la povertà che Gesù ci chiede. È una povertà difficile. Non portare né pane, né sacca, né denaro significa, a mio avviso, prima di tutto, uscire dalla logica della “risposta al bisogno”. Se vado “senza” io non sarò mai uno che ti risolve i problemi di “mancanza”. Il cristiano, e in questo senso credo che dovremmo fare davvero profonda autocritica, non è colui che deve “risolvere il problema della povertà”, il cristiano non è “risposta al bisogno” ma, al contrario testimone del bisogno, dell’Assenza profonda che ci abita. Di quell’Assenza senza la quale saremmo dis-umani. Presentarsi senza niente significa “mostrarsi bisognosi”, ecco la testimonianza. Io ho bisogno di te. Questo è lo stile di Gesù. Un Gesù che nasce nudo per suscitare gesti di cura in chi lo accoglie, un Gesù che muore nudo per suscitare gesti di cura in chi lo depone nel sepolcro.
don Alessandro Deho’