
Nel giugno di settantacinque anni fa veniva firmato il protocollo, rimesso in discussione dopo le troppe morti nei pozzi delle miniere

Settantacinque anni fa, nel giugno 1946, l’Italia e il Belgio firmavano il protocollo per il carbone: noi avevamo grande necessità di materie prime per la ricostruzione e la nuova produzione industriale; al piccolo Paese del Nord servivano uomini da calare nei pozzi e vincere quella “battaglia del carbone” che i cittadini belgi non volevano “combattere” rifiutando il lavoro nelle miniere. I due Governi si accordarono in breve tempo: in cambio di 50.000 uomini (giovani in buona salute e con meno di 35 anni di età) il Belgio avrebbe inviato all’Italia il tanto sospirato carbone.
“Uomini venduti per un sacco di carbone” si sarebbe detto in seguito, soprattutto dopo le tante tragedie avvenute in luoghi di lavoro dove spesso le misure di sicurezza erano scarse se non del tutto mancanti. Merce (carbone) in cambio di altra merce (uomini): alla fine a partire per il Belgio al ritmo di duemila a settimana sarebbero stati 83.000 uomini ai quali si aggiunsero più di 20.000 familiari.
Un vero e proprio “esodo”, ma una emigrazione non spontanea bensì frutto di un accordo tra stati che si protrasse fino al 30 giugno 1950, periodo nel quale i rientri furono circa 30.000 a causa di cattive condizioni di salute, di malattie contratte in miniera o di emigrati che, viste le condizioni di vita e di lavoro, preferirono tornare in Italia.
A Milano, nella ex caserma in piazza Sant’Ambrogio, era stato organizzato il Centro per l’emigrazione in Belgio dove avveniva la selezione e da dove passarono anche un buon numero di nostri conterranei, spinti dalla necessità di lavoro e di prospettive per la famiglia.
Da qui, nel 1949, passò anche il carrarese Giorgio Mori, classe 1923, discriminato negli anni immediatamente successivi alla Liberazione per la sua attività di partigiano comunista e l’attività sindacale. La decisione di lasciare Carrara era stata dunque inevitabile, ma la destinazione doveva essere l’Australia, dove però erano ammessi solo uomini senza famiglia.
Giorgio, invece, aveva moglie e un figlio e il Belgio fu l’alternativa più immediata. Ha resistito quattordici anni nei pozzi a centinaia di metri di profondità e, nell’estate 1956, fece anche parte delle squadre di soccorso nella miniera del Bois du Cazier a Marcinelle dove morirono 136 minatori italiani.
Nonostante gli scontri a fuoco con i fascisti e i tedeschi e gli anni passati a scavare carbone sdraiato nelle “taglie” a riempirsi i polmoni di polvere, Giorgio a Carrara ancora oggi non perde occasione di raccontare quella sua esperienza di uomo trasformato in merce da un paese, il suo, che aveva bisogno di altra merce, il carbone.
Paolo Bissoli